mercoledì 27 gennaio 2010

Un saluto


Credo fosse il 1997, anno più anno meno. Ero al liceo, avevo 15 anni. Mia sorella insisteva perché voleva un animale domestico in casa, i miei genitori erano contrari... mia madre ne era terrorizzata, mio padre avrebbe voluto un cane e non c'era spazio per tenerlo. Era una discussione che andava avanti da anni, sporadicamente ripresa con cadenza saltuaria. Il mese di dicembre del '96 venimmo a sapere dell'imminente parto di una gatta, la cui proprietaria vive nel nostro stesso palazzo. Mia sorella si informò a dovere e scoprì che esistono dei gatti che possono vivere in appartamento, che non hanno bisogno di grandi spazi e che si adattano molto bene all'ambiente in cui si trovano. Quel mese nacquero 5 cuccioli, tre femmine e due maschi. I due maschi morirono prima di essere svezzati. Io e mia sorella andavamo a guardarli di tanto in tanto, ci era stato promesso che potevamo tenere uno dei cuccioli e dovevamo decidere quale.
Tra le tre sopravvissute mi ricordo che ci affezionammo subito ad una in particolare... aveva una coda molto piccola e arricciata sulla punta ed era un uragano... correva ovunque ed era piena di curiosità... era l'unica che non stava mai al suo posto, te la ritrovavi sempre in qualche cassetto o sotto un mobile, come se cercasse qualcosa. La portammo a casa di nascosto, così che i nostri genitori non potessero dirci di no. Mia madre dall'odio più profondo che nutriva per tutti gli animali si affezionò a lei più di tutti, trattandola come se fosse un altro figlio. Volevamo chiamarla Siria ma poiché chiunque la vedesse la chiamava "micia", lei si abituò a quel nome. Da quel giorno ad oggi sono passati circa 14 anni, in cui questa piccola palla di pelo ha visto davvero tante cose per un gatto.

Ricordo in particolare le scenate di gelosia quando provammo a portare a casa altri cuccioli e quando scoprì un giardino e il suo istinto la portò a cacciare tutto quello che si muoveva, spesso senza successo. È stato l'unico gatto che abbia mai visto aver paura dei topi meccanici, ed è anche stato l'unico animale talmente buono e fiducioso nei suoi padroni da non aver paura di nulla, quando loro erano lì. Ha avuto una storia clinica molto travagliata, ma ogni volta i veterinari si stupivano per la sua accondiscendenza quando dovevano farle un po' male, come se sapesse che, se c'eravamo noi, era per il suo bene. Ultimamente aveva iniziato a star male a causa di problemi ai reni. Ieri mattina, quando l'ho vista per l'ultima volta, era stremata e non riusciva a muoversi. Quando le sono andato vicino e ho cominciato ad accarezzarla, dicendole che sarebbe andato tutto bene, ha provato a fare le fusa ma non ci riusciva... soffriva molto e il dolore era troppo forte. La notte l'ha portata via, in un posto sicuramente migliore. È incredibile il bene che si può volere ad un esserino così piccolo. Addio Micia!

martedì 26 gennaio 2010

Frammenti di Memoria - Parte IV

"Se oggi morissi, tutto sarebbe più semplice."


La mente di Anna non riuscì a pensare ad altro. Era così ogni volta, appena si svegliava. Il pensiero le lacerò la mente, come carne infilzata da migliaia di aghi. Potè sentire il cuore spaccarsi ad ogni battito, il sangue scorrere acido nelle vene, finché il corpo non si scosse in un unico, feroce spasmo. La nausea le invase le viscere, come succedeva ogni volta, e si costrinse ad aprire gli occhi. La luce artificiale dell'unica lampada, la cui fiamma danzava con l'armonia che solo il vento poteva darle, penetrò nella retina infondendole un calore anomalo, estraneo. Anna richiuse gli occhi. Era troppo. Era già troppo il rendersi conto che la morte non avesse senso. Doversi confrontare anche con il mondo era decisamente superfluo. Avrebbe voluto semplicemente rimanere lì, senza doversi muovere, senza dover riaprire gli occhi.

Ebbe sete. La gola le bruciò come una pira in fiamme. Non riusciva a sopportare neanche quello, una necessità di cui avrebbe volentieri fatto a meno, una caratteristica eccessiva, di cui non aveva bisogno.
Si massaggiò leggermente le tempie con le mani, deglutendo. Questo peggiorò solo il desiderio di bere qualcosa di forte, qualcosa che potesse far crollare il mondo, con i suoi colori e le sue forme assurde. Qualcosa che potesse farla tornare in quel mondo nero e silenzioso in cui si trovava poco prima, qualcosa che facesse esplodere il sole, lasciando il posto alla notte. Cercò intorno a lei, tastando l'aria, finché le sue dita non sentirono il bordo freddo e levigato di una bottiglia vuota. Anna imprecò e cercò di prendere coscienza di sé, lentamente, aspettando che il mondo intorno a lei, ancora una volta, prendesse quella forma così familiare, così odiata.

La prima cosa che fece breccia nella fortezza che era diventata il suo corpo furono i suoni. Erano pesanti, nonostante provenissero da lontano. Venivano dal piano di sotto, dove gli avventori stavano dando fondo alla paga della giornata. Anna si domandò che ora fosse, ma la risposta non le interessava realmente. Dopo i suoni arrivò la luce e con essa i colori. Erano freddi, intrappolati in forme che non riuscivano a contenerne l'essenza, incrinati e corrotti dal tempo. Arrivarono poi gli odori, acri e pungenti, di alcool, sudore, letame, e sangue. La locanda doveva essere piena, probabilmente stavano sgozzando un altro maiale sul retro. La finestra era aperta e fu quasi sicura di sentire gli ultimi spasmi dell'animale morente. Fortunato. Non doveva più condividere quel mondo con lei.

Si mosse. All'inizio il suo corpo le parve pesante, un bagaglio inutile e vuoto. Una sensazione sgradevole, ma durò soltanto per un istante. Il suo corpo era snello ed agile, come sempre. Si mise a sedere. Si guardò pigramente intorno, con una luce di speranza negli occhi. Sperava che il mondo intorno a lei fosse cambiato, anche di poco. Era l'unica cosa che ancora la faceva sentire vagamente viva. Una speranza che si infrangeva ogni volta. Flebile, ormai ridotta ad un'abitudine, non riusciva a separarsene. Non sapeva se esserne felice o meno. Non sapeva nemmeno più cosa volesse significare "essere felice".

Rimase immobile per molto tempo. La luce della luna filtrava attraverso la tenda porpora, donando ai suoi capelli corvini una sfumatura rossastra, lucente. Ciocche di capelli le scendevano morbide lungo le spalle nude, bianche come la neve. La sua pelle riluceva come marmo sullo sfondo ceruleo della parete alle sue spalle. Una mano le copriva gli occhi, ancora esausti per lo sforzo compiuto svegliandosi. Chiunque fosse entrato nella stanza avrebbe pensato di trovarsi di fronte il fantasma di una bellissima donna morta, suicidatasi dopo aver perso ogni cosa. Ad Anna non interessava tutto questo. Le girava la testa, voleva soltanto bere. Si alzò e guardò il pavimento, come per essere sicura di starvi poggiando sopra i piedi e di non stare fluttuando a mezz'aria. Indossava una camicia da notte di lino bianco, smanicata e priva di ricami, a parte tre bottoni aperti all'altezza del petto. Non ricordava se facesse caldo o freddo. Si mosse lentamente, senza far rumore. Prese un vestito pulito, il suo preferito. Era bianco, molto semplice, con una lunga gonna che le sfiorava appena i piedi scalzi. Ultimamente non indossava calzature, non ne sentiva la necessità. Si ravvivò i capelli ed uscì dalla piccola stanza umida, trovandosi immersa nel caos e nel fumo della locanda.

Nessuno badò a lei, tutti erano intenti nello svolgere le loro attività abituali. Anna non li degnò nemmeno di uno sguardo, non aveva mai avuto niente a che fare con quella gente e non voleva iniziare oggi. La locanda aveva una comoda scala che usciva direttamente sul retro, utilizzata per lo più dalle prostitute e dai loro clienti che preferivano rimanere inosservati. La discrezione era importante per l'oste e questo gli consentiva di continuare ad esercitare la professione e di poter servire clienti molto facoltosi. In questo modo, inoltre, nessuno si lamentava mai dello squallore e della sporcizia. Anna evitò con cura quelle che sembravano vistose macchie di vino ed altri liquidi che serpeggiavano fino all'uscita e si ritrovò nel cortile, dove poteva ancora sentire l'odore del sangue degli animali sgozzati. Si allontanò a lunghi passi, non aveva intenzione di rimanere in quel posto più del tempo necessario. Un attimo dopo era in strada, i suoi piedi si poggiarono sulla pietra e lei provò un senso di sollievo.

La pietra fredda e umida le dava un senso di familiarità. La notte era vuota, la città sembrava respirare, affannata come un uomo in punto di morte. Sembrava che la società potesse crollare su se stessa, sprofondare nelle viscere della terra e sparire per sempre. Purtroppo non era così. Il mondo continuava ad esistere e, nonostante sembrasse sull'orlo della distruzione, continuava ad espandersi ed a corrompere ogni cosa, facendo marcire ogni cosa. Gli uomini avevano imparato a sfruttare la natura, ad asservirla, a renderla simile ad una marionetta. Stupidi. Non c'era altro modo per definire delle pedine che si fingevano manipolatrici. Gli uomini erano stati creati dalla terra e non il contrario. Solo la stupidaggine umana poteva ignorare questa semplice verità.

La gola continuava ad ardere. Anna mosse prima un piede, poi l'altro, meccanicamete, verso una meta non definita. Ondeggiava, cambiando direzione come cambiava il vento, sospinta soltanto dall'istinto. Vagò per qualche ora, seguita soltanto dalla luna e dalle stelle, finché non si trovò davanti ad una casa con le luci ancora accese. Anna capì che stavano festeggiando qualcosa. Stralci di dialoghi le fecero capire che si trattava di una nascita. Il cuore le si riempì di una gioia ed una tristezza immense. Una nuova creatura partorita dal grembo di una donna, un miracolo che riusciva sempre a fare breccia nel suo cuore. Soffriva per il destino che attendeva il cucciolo d'uomo, per la sofferenza che il mondo aveva in serbo per lui. La porta era aperta. Entrò, senza pensare ulteriormente. Lasciò che ogni cosa andasse come doveva, in modo che il flusso degli eventi fosse dettato dal solo istinto.

Quando riprese controllo di sé si ritrovò in ginocchio, in una piccola stanza, circondata da un profumo soave. Le pareti erano rosse, Le sue mani accarezzavano ancora il corpo esangue della donna, ancora rannicchiata intorno al fagotto che rinchiudeva il suo dono più prezioso, l'ultimo tentativo di una madre per proteggere il poprio figlio. Anna scostò lentamente le braccia della donna, in modo da scoprire il volto del bambino che piangeva, per perdersi nello sguardo di quella creatura meravigliosa.

Prese il bambino e si rialzò, ripercorrendo la strada che aveva fatto fino all'ingresso della casa, evitando con cura di calpestare i cadaveri dissanguati ai suoi piedi. La sete era finalmente passata. Il sangue dolce e caldo scorreva nel suo corpo, inondandola di una sensazione di benessere. Il suo vestito preferito era immacolato. Anna non ricordava mai cosa succedeva quando si nutriva, ma sembrava che anche in quel momento fosse consapevole di cosa era importante per lei. Per questo motivo decise di tenere il bambino. La bestia che albergava nelle sue spoglie mortali aveva deciso di tenerlo in vita, lo riteneva importante. Anna non riusciva a capacitarsi di questo avvenimento. In passato aveva lasciato dietro di sé solo morte e distruzione, adesso guardava a quella vita appesa a un filo che si trovava tra le sue braccia.

Ritornò alla locanda quando il sole stava ormai per sorgere e sfruttò il potere del suo sangue per ammaliare l'oste ancora una volta, riuscendo a convincerlo che la sua stanza adesso fosse occupata da una madre in fuga dal marito violento, che ovviamente aveva versato il compenso per una settimana in anticipo. La stanza era ancora come l'aveva lasciata, la lampada aveva esaurito l'olio e si era spenta. Anna richiuse la finestra, ripromettendosi di impiantare l'ordine che non fosse mai più aperta nella cameriera che si occupava della pulizia della sua stanza. Aveva sempre sperato che lo facesse durante il giorno, quando il sole poteva purificare il suo corpo e farla inspirare l'ultimo bruciante respiro della sua esistenza, ma probabilmente quella pensava che lei non volesse essere svegliata. Anna sapeva che, durante il sonno, il suo corpo appariva come quello di un cadavere appena deposto in un loculo. Qualsiasi persona dotata di buon senso avrebbe pensato che fosse meglio lasciarla dormire e non disturbarla nemmeno con la luce del sole. Adesso le cose erano diverse, non pensava più a se stessa.

Aveva portato con sé la cesta del bambino, alcuni pezzi di stoffa e un cuscino di piume, e vi depose il piccolo con cura. Aveva smesso di piangere e si era addormentato. Anna provò un brivido nel sentire il suo piccolo cuore che batteva, forte e sicuro. Non sapeva se il bambino avesse già un nome, ma era troppo stanca per pensare a questa cosa. Avrebbe scelto un nome l'indomani notte, se le cose fossero andate come sperava. Posò delicatamente la culla sul letto, accanto a lei, e decise che se quel bambino avesse domato la bestia al suo prossimo risveglio, quando la sete avrebbe di nuovo invaso il suo corpo ed annebbiato la sua mente, lei lo avrebbe accudito come se fosse stato suo figlio. E gli avrebbe detto ogni cosa, svelato ogni segreto. Sarebbe vissuto con la consapevolezza che il mondo aveva partorito un abominio come lei per liberarsi della piaga che lo stava facendo marcire prima del tempo. Avrebbe saputo che c'erano molti altri abomini sulla terra, che lentamente ne stavano riprendendo possesso, e gli avrebbe dato la facoltà di scegliere come gestire la sua vita, senza alcuna forzatura. Sarebbe stato suo figlio. In cuor suo, Anna desiderava che egli fosse anche il suo carnefice.

L'idea l'eccitò al punto che, la notte successiva, Anna riprese i sensi non pensando alla morte che l'aveva abbandonata nuovamente ma alla vita che batteva impetuosa al suo fianco.

lunedì 25 gennaio 2010

Frammenti di Memoria - Parte III

Silenzio. 
Ogni cosa sembra acquistare una volontà propria, quando nessuno parla. Gli oggetti sembrano animarsi, muoversi, parlare tra loro, in una cacofonia che normalmente non si riesce a sentire. Le lampade bisbigliano qualcosa di incomprensibile, frasi che comprendono la conoscenza del mondo che le circonda, di come sono fatte e di come si nutrono, come vivono e come muoiono. Si dicono tutto, quando nessuno parla. Hanno tanto da raccontare, riguardo il modo in cui ogni volta sono costrette a svegliarsi, a lavorare senza sosta, finché la notte non diventa troppo fitta e loro possono trovare riposo. Parlano per passare il tempo, parlano per comunicare le proprie intenzioni, i progetti ed i sogni. Parlano per ingannare il tempo, affinché la noia non prenda il sopravvento. È un flebile ronzio, ma parlano più di noi. 
I rubinetti delle stanze qui a fianco non la smettono mai. Ripetono sempre la stessa cosa, ad intervalli regolari. Scandiscono il tempo a modo loro, lo squarciano e lo affettano nelle dimensioni che preferiscono. In questo modo lasciano che anche tu cada nella loro visione del mondo, fanno sì che il tempo scorra diversamente anche per te, diventano il punto di riferimento del tuo udito, riempiendo per brevi, intensi istanti il silenzio che mi circonda. Sono sicuri di sé, convinti di ciò che affermano, pronti a ripeterli all'infinito, senza cedere. Testardi, boriosi ed ottusi. 


Il silenzio è l'apoteosi della soave sinfonia dell'universo. 


Ogni singola particella avanza il proprio diritto, ogni cosa grida al massimo delle sue possibilità. Gridano di gioia, di dolore, di stanchezza o di fatica. Gridano come facciamo noi, ma lo fanno solo nel silenzio. Gridano al punto da riempire il silenzio, gridano finché possono, finché qualcosa non interrompe il loro idillio. Gridano, non si fermano. Non riesco più a fermarlo, sta diventando assordante. 


Il silenzio è la cacofonica rappresentazione del mondo. 


Le foglie, dalla strada, vogliono far conoscere al mondo la propria condizione, abbandonate al vento, al freddo, al caldo eccessivo. Sono fedeli alla propria posizione, non abbandonerebbero mai il posto in cui si trovano. Vogliono semplicemente parlare, dare gloria a chi le ha create, convincere tutti che, in fondo, si sta meglio quando si è ben piantati al suolo, senza troppe pretese, evitando di intromettersi nelle faccende altrui. Anche loro rimangono delle proprie convinzioni, è praticamente impossibile far cambiare idea a qualcosa che non sia un essere umano. Come le foglie, anche noi spesso ci pavoneggiamo, testardi, proclamando il nostro stile di vita, tentando di convincere a voce alta che è l'unico modo corretto di vivere. Come le foglie, cadiamo inesorabilmente verso la terra. E solo a quel punto ci congiungiamo realmente con essa, comprendiamo la natura delle cose, la verità riguardo questo mondo e l'altro. Ma a quel punto probabilmente è troppo tardi, ormai non è più possibile risalire sull'albero da soli. 


Il silenzio è la presenza del nulla, il vuoto ripieno di colori, luci ed ombre che si mescolano in un dipinto grottesco. 


Il sangue è quello con la voce più sottile e penetrante, in questo quadro. Sta scorrendo, inesorabile, e non accenna a trovare riposo. È lento. Terribilmente lento. Sembra che ogni istante duri un'eternità. La sua voce è cupa, ma rassicurante. Serpeggia attraverso le fessure del terreno, attraverso le foglie morte, l'erba e la Terra stessa. È lucente, vivo. Racconta della sua vita, di come è nato e di come stia morendo. Non è impaurito. Non vede altro che una nuova strada che si apre dinanzi al buio, una lampada accesa che gli indica il cammino da seguire. È calmo, tranquillo, pacato, sereno. Sta passando proprio davanti ai miei occhi in questo momento. Piange, ma allo stesso tempo sorride. È consapevole quanto me che di ciò che sta per accadere. Ma riesce a tranquillizzarmi, con il suo modo di fare. Non ha alcuna fretta di giungere alla fine della sua strada, perché sa benissimo cosa c'è. Non ha fretta, perché sa che potrà finalmente riposare dopo questa fatica. 


Il silenzio è quando l'oscurità è già piena intorno a te, e non te ne accorgi.

domenica 24 gennaio 2010

Zombieland


Caratteristiche:
Titolo originale: Zombieland
Paese: USA
Durata: 88 minuti
Genere: Commedia / Horror
Anno: 2009

"Benvenuti a Zombieland" dovrebbe essere il titolo italiano per questa pellicola che troveremo nei cinema soltanto a partire dall'11 giugno 2010 (dal 2 ottobre 2009 in America).
Il tema trattato è già evidente dal titolo e di sicuro non svelo nulla dicendo che ci troviamo in una sorta di realtà parallela in cui i morti sono tornati a camminare sulla terra e sono affamati. In questa realtà si muoveranno i quattro personaggi principali del film (che vedete nella locandina), cercando di sopravvivere in un mondo ormai totalmente distrutto. È la fine del mondo, e le uniche cose che sembrano avere importanza sono quelle totalmente insignificanti. Il protagonista, Columbus (Jesse Eisenberg), è un ragazzo quasi normale con qualche piccola paranoia. Quelle che bastano per permettergli di sopravvivere, ovviamente, perché a quanto pare in un mondo alla rovina sopravvivono solo le persone più pazze. Per questo motivo vediamo comparire Tallahassee (Woody Harrelson, già visto in Sette Anime e, per chi ha avuto lo stomaco di vederlo, 2012). Tallahassee è tutto ciò che Columbus non è: pieno di iniziativa, è sicuro di sé ed è nato per uccidere zombie. Il suo unico tallone d'achille sono i twinkie, intorno ai quali ci sono diverse citazioni in tutto il film (famosi oltreoceano, noi li abbiamo sentiti nominare un paio di volte nei film della serie Ghostbusters). I due formerebbero già una coppia perfetta, anche troppo. È questo il motivo per cui il fato ha scelto per loro due compagne di viaggio: Wichita (Emma Stone) e Little Rock (Abigail Breslin). Le due sorelle hanno il ruolo fondamentale di destabilizzare il già precario equilibrio della compagnia e creare problemi. Non è necessario altro per questo genere di film: 4 protagonisti e una serie di comparse truccate a dovere.

Con L'alba dei morti dementi (Shawn of the Dead, 2004) avevo già il sentore di aver visto un film diverso dal solito. Fino a quel periodo, oltre a L'armata delle Tenebre (1992), c'era stato solo un susseguirsi di Scream, Scary Movie e via dicendo che non erano classificati come horror o comici, erano semplicemente demenziali. Il genere horror all'americana ha sempre avuto una vena di ironia intrinseca, basti pensare ai vari Nightmare, Venerdì 13 e tanti altri (personalmente ricordo il successo dei Racconti di Mezzanotte, con lo Zio Tibia che aveva ogni settimana una storia nuova da raccontare), con lo scopo di esorcizzare il pericolo e rendere il titolo godibile su più livelli. La storia dei film horror legati agli zombie è lunga e piena di titoli, al punto che spesso si parla di "zombie" riferendosi al genere del film, quindi un titolo come L'alba dei morti dementi o Zombieland non ha difficoltà ad inserirsi nella lista di film preferiti da un amante dell'horror ed è perfetto anche per chi di horror non ne vuol sapere proprio nulla. Il fatto che la produzione sia americana è evidente: il film è pieno di riferimenti alla cultura, ai luoghi (i nomi dei protagonisti sono di città americane) e alle abitudini targate USA, lasciando a volte lo spettatore straniero un po' perplesso o comunque rendendo meno immediato l'effetto delle battute (speriamo che l'adattamento in lingua italiana preveda di appianare queste differenze). La caratterizzazione dei personaggi è interessante e dinamica e non mancano colpi di scena a volte tali da stravolgere il senso di tutto ciò che i protagonisti fanno, nonostante il mondo sia sull'orlo della distruzione, senza mai lasciare un'idea chiara di dove si andrà a finire. Il tutto è poi condito da un umorismo sempre presente che non scade mai nella volgarità eccessiva. 88 minuti ben spesi.

sabato 23 gennaio 2010

La Morte Aguzza

[…] Non è stato lanciato alcun allarme. Smentite le voci relative ad un attacco biologico. La malattia sembra essersi diffusa in tutto il mondo, contemporaneamente. In caso di allarme la popolazione sarà informata tramite ogni mezzo di comunicazione. Sono disponibili, per la regione, ventiquattro linee d’emergenza, i cui numeri scorrono in sovrimpressione. Le frequenze radio sono sottoposte a sequestro e destinate esclusivamente all’informazione in tempo reale […]”
“[…] Immediata la reazione della popolazione mondiale. Sedate numerose rivolte, spesso rendendo necessario l’uso della violenza. Si segnala lo stato di calamità naturale. […]”
“[…] Ripeto. La malattia si trasmette per via aerea e tramite contatto. I soggetti che riscontrano sintomi quali febbre, deformazione improvvisa di parti del corpo, in maniera particolare nell’arcata dentale superiore, sono pregati di contattare urgentemente uno dei numeri che scorrono in sovrimpressione. Ripeto. […]”
“[…] Non è ancora chiaro il modo in cui questa malattia si sia sviluppata. Ciò che è sicuro è il modo in cui agisce. Influenza vari cromosomi, alterando il ciclo vitale degli esseri umani. Non esiste nessun’altra malattia simile nel mondo animale. L’aspetto più complesso da comprendere è relativo all’improvvisa e repentina decadenza del corpo umano, una volta contratta la malattia. Il passaggio dalla febbre alta alle alterazioni fisiche è troppo repentino per poter intervenire in merito. La ricerca mondiale è focalizzata sullo studio del genoma in modo da creare alterazioni speculari ed inverse. Ciò non curerebbe il problema all’origine, ma potrebbe consentirci quantomeno di vivere […]”
“[…] Confermata la notizia della nascita di un bambino che presenta i sintomi della M829, ribattezzata Morte Aguzza. Il DNA del bambino è stato prelevato ed è soggetto alle analisi. E’ opinione dei maggiori esponenti della medicina mondiale che l’analisi del DNA di un portatore sano potrebbe essere la chiave per la codifica della malattia […]”
“[…] Numerosi gli scontri a fuoco negli Stati Uniti ed in Francia. Proteste ed atti vandalici in ogni altra nazione. I militari hanno ricevuto l’ordine di aprire il fuoco in caso di pericolo o presunto tale. I disagi sono iniziati immediatamente dopo la morte di Andrew, il primo ed unico portatore nato con la M829. I funerali si terranno domani in una cerimonia privata. Il governo americano ha messo a disposizione della famiglia un piccolo numero di soldati armati […]”
“[…] Cresce il disagio ed il numero di decessi causati dalla Morte Aguzza. La ricerca non ha ancora generato alcun risultato, soprattutto a causa dello scarso numero di medici e teorici a disposizione. E’ per questo motivo che, a partire da domani, in tutte le scuole di tutte le età saranno insegnate solo ed esclusivamente le basi per lo studio della M829. Disponibili inoltre sul web tutto il materiale informativo relativo allo studio. In caso di domande, risultati o semplici dubbi relativi alla ricerca, contattare il Ministero della Sanità ai seguenti indirizzi […]”

“E con questo la lezione di oggi è finita.”.
Anche oggi abbiamo finito. A dire il vero non ho capito granché della lezione, non sono mai stato molto bravo con questo genere di cose. Tu invece sei sempre stata più portata di me. Devo affrettarmi a chiedere spiegazioni al professore. È già in fase terminale. Ho sentito stamattina che la malattia non si trasmette per via orale ma solo attraverso il contatto e le radiazioni elettromagnetiche. Questo già lo capisco di più. Sapevi che il nostro cervello emette continuamente radiazioni elettromagnetiche? È inutile chiudere tutti i malati in una stanza, basterebbe che anche solo uno di loro fosse malato in un angolo sperduto di mondo per trasmettere la malattia a chiunque. Hanno parlato anche di soppressione, ma si sono resi conto quasi immediatamente che non avrebbe portato alcun risultato. Il virus è comunque presente in tutto il mondo, sopprimere i malati equivarrebbe solo a diminuire ulteriormente il numero di persone in grado di studiare e ricercare soluzioni. La popolazione mondiale è già scesa sotto i due miliardi. Tra poco le città dovranno lasciar posto ai cimiteri. Ho sentito anche una teoria secondo la quale il virus non smette mai di agire, anche dopo la morte. Sembra vi siano delle alterazioni della struttura virale originale che riescono a propagarsi anche dopo la morte del corpo ospite. Mi chiedo se esista un limite a questa malattia o se qualche Dio abbia deciso di mettere fine all’umanità. In fondo non so se riuscirei a biasimarlo completamente. 


Ti guardo mentre rimetti a posto i tuoi appunti. Chissà cosa stai pensando adesso. Nella nostra classe oltre a noi due non ci sono molte altre persone sane. Dobbiamo stare attenti a qualsiasi cosa facciamo, il rischio di contrarre la malattia aumenta in proporzione agli sforzi fisici effettuati o al calare dell’apparato immunitario. Questo vuol dire che, se dovessimo prendere un raffreddore, avremmo almeno il 60% di probabilità in più di contrarla. Per questo indossiamo queste tute. Anche se si è capito che i respiratori non servono a nulla, ci fanno ancora indossare questi caschi, in modo da mantenere costante la temperatura corporea. Non ricordo più cosa vuol dire avere l’influenza, ma so che se provassi di nuovo la sensazione di febbre e mal di testa, probabilmente sarei ad un passo dalla morte. 


Oggi hai qualcosa che non va. Solitamente hai sempre fretta di parlare con il professore, vuoi sempre arrivare alla fine della giornata con il massimo dei risultati possibili. Hai raggiunto la mia classe quattro anni prima. Sei un genio, paragonata a tutti noi. Io probabilmente entro la fine del mese sarò trasferito in una classe sperimentale relativa allo studio dell’influenza elettromagnetica della M829. Questo vorrà dire che non potremo più vederci tanto spesso. La cosa mi fa star male al solo pensiero, ma se riuscissimo a trovare una soluzione a tutto questo magari potremmo vivere una vita normale, come quella di cui ci hanno raccontato i nostri genitori. È tutto quello che sappiamo di loro, in fondo. Non ho mai finito di leggere i diari di mia madre. Il mio tra l’altro lo sto trascurando sempre di più. Bella eredità che lascerò ai posteri. Dicono che quando sarà tutto finito i nostri diari saranno resi pubblici, in modo da non dimenticare mai quanto abbiamo vissuto. Vivere, in questo periodo, è un vero e proprio lusso. 


Rimani seduta ancora un po’. Aspetti che la classe si svuoti, metti a fuoco le domande che dovrai fare al professore. Cercherai di trarne il massimo profitto, anche stavolta. Ti osservo sempre quando sei assorta nei tuoi pensieri. Mi dai l’impressione di volare in un mondo immenso, senza confini. Incrocio i tuoi occhi, sorridi e mi chiedi cosa voglio. La mia risposta è sempre la stessa. Niente. Mi hai già dato tutto. E’ il mio turno di parlare con il professore. Mi sta spiegando di nuovo cosa diamine sia il coefficiente di ripartizione sangue/gas del desflurane. Mi stai guardando, adesso. Hai la solita espressione di quando sai che dovrai spiegarmi con termini più umani quello che lui sta ripetendo in un linguaggio arcano. Poi volti lo sguardo. Cos'hai?


Ora tocca a te parlare con il professore. Sembri stanca. La giornata è stata fin troppo stressante, me ne rendo conto. Come se non bastasse, dopo la lezione ci aspetta un altro funerale. Quanti ne abbiamo visti negli ultimi due anni? Troppi. E vivere da soli non aiuta. Le città sono sempre più vuote e noi siamo due dei quattordici individui ancora sani, qui. Personalmente conosco solo i nostri due compagni di classe, ignoro chi siano gli altri dieci. Da quando tutto il nostro tempo è dedicato solo ed esclusivamente alla ricerca non ho più visto altre persone. Gli amici spariscono da un giorno all’altro, ed entrambi sappiamo qual è la causa. Non credo riuscirò mai ad abituarmi a questo. 


Il professore ha appena risposto alla tua ultima domanda, quando la Morte Aguzza se lo porta via. È orribile, ogni volta. Il suo corpo si accascia a terra, senza emettere alcun gemito. La pelle raggrinzisce, evapora. 
Tu rimani lì, ferma. Fai sempre così quando succede. Mi avvicino rapidamente e ti stringo con forza. Non vuoi distogliere lo sguardo, lo so. Ogni volta che succede è così. Adesso volti lo sguardo, i tuoi occhi incrociano i miei. Stai piangendo. Non riesci ad accettarlo, non sopporti la sensazione di impotenza che ci circonda. 
Corri via, lontana da me. Non ti rincorro, so che vuoi rimanere da sola. Tutto torna alla normalità in pochi minuti, come ormai siamo abituati a fare. Domani vedremo un volto nuovo che ci spiegherà le stesse cose. Non cambia nulla. Sappiamo come vanno le cose e non riusciamo ancora a cambiarle. Ma sono sicuro che insieme riusciremo ad ottenere qualche risultato. Lo so.


Ti ritrovo in un’aula vuota. Gli altri studenti sono andati tutti in biblioteca o a casa. Alcuni saranno già nei laboratori, tra esperimenti o verifiche; tu invece preferisci coltivare il tuo tempo, gestirlo come solo tu riesci a fare. Stavolta però sei diversa. Te ne resti seduta in un angolo della stanza, le braccia conserte. Non ricordo più come sei fatta, sotto quella tuta. Non riesco più a ricordare la morbidezza della tua pelle, la forma delle piccole cicatrici che porti sulle tue mani. So soltanto che mi stai aspettando. Mi avvicino a te, ma non vuoi che ti guardi. Tieni il volto nascosto tra le braccia. Non parli. Mi siedo al tuo fianco e rimango in silenzio. Ti abbraccio e tu mi stringi con forza. Il tempo passa, noi siamo sempre qui.
Adesso alzi lo sguardo, vuoi guardarmi. I nostri occhi si incrociano, parlano. Ti allontani lentamente da me ed inizi a togliere i guanti della tuta. Per un momento penso che tu sia riuscita a leggere nella mia mente, ma non sono tanto stupido. So già cosa è successo. Ho sempre saputo che prima o poi sarebbe accaduto. Rimango fermo, impietrito. Togli il respiratore e lasci che i tuoi lunghi capelli ricadano sulle spalle. 


Il profumo che sento mi riporta alla mente innumerevoli ricordi. Vorrei urlare, vorrei convincermi che si tratti solo di un sogno. Ti volti e mi guardi. Sorridi, ma i tuoi occhi stanno piangendo. Ti avvicini a me, il profumo diventa ancora più forte, inebriante. Mi tendi la mano. Mi alzo, non riesco a smettere di guardarti. 
Sei bellissima. Con un piccolo gesto indichi i tuoi canini. E’ questo il motivo per cui la chiamano Morte Aguzza. All'inizio si pensava a semplici deformazioni, poi qualcuno parlò di vampiri, finché non ci furono i primi decessi. Ora nessuno si permetterebbe più di scherzare in merito. Riprendi la tua roba e ti siedi ad uno dei banchi liberi in fondo all’aula. Riprendi la tua vita. Togliere la protezione è il gesto compiuto da tutti i malati in fase terminale, ma ormai nessuno più rinuncia alla propria vita, alle proprie ricerche. C’è stato un periodo in cui le morti per suicidio superavano quelle della Morte Aguzza vera e propria. Tu sai bene tutte queste cose, sai benissimo che i tuoi studi sono molto importanti, sai che anche la più piccola scoperta potrebbe essere fondamentale. 


Rimango fermo a guardarti. Non so cosa fare. Prendi i tuoi appunti ed inizi a scrivere qualcosa. Poi mi guardi, mi dici di sedermi e fare qualcosa, di non perdere tempo. So cosa fare. Prendo i miei appunti e li sistemo sul banco a fianco al tuo. L'idea di vederti morire da un istante all’altro è insopportabile, ma so che il peso grava esclusivamente su di te, adesso. C’è anche un’altra voce sulla M829 che non è mai stata smentita e che è tutt’ora oggetto di studio di numerosi centri di ricerca. Non faccio altro che pensarci, mentre mi libero degli ultimi impedimenti. 


Mi siedo, sgrani gli occhi. Ti abbraccio. Vuoi allontanarmi, mi respingi con violenza ma sai anche tu che è già inutile. So che mi odierai per quello che ho fatto. Così come sai che senza di te io non riuscirei comunque a vivere. E allora ti calmi, mi abbracci a tua volta, come non facevi più da anni. In silenzio, il tuo calore mi riempie l’anima. Non riesco neanche a percepire il momento in cui la febbre passa e la deformazione dentale termina. Avviene tutto con una rapidità incredibile. È quello che avevo sentito. Due soggetti che abbiano contratto la malattia uno dall’altro hanno la stessa aspettativa di vita. Ho evitato il periodo dell’incubazione e della febbre alta, in questo modo. Tanto sarebbe successo comunque... e senza di te e le tue spiegazioni delle lezioni io comunque non riuscirei ad andare avanti con la ricerca. Probabilmente non accetterai mai la mia decisione, lo capisco dalle lacrime che ti rigano il volto. 
Mi guardi con compassione. 
Ti sorrido. 
Dici che sono un idiota, che avrei potuto fare delle scoperte incredibili. 
Rispondo che senza di te non sono niente. 
Mi ripeti che sono un idiota. 
Sorrido.


Non so quanto tempo ci resterà, ma so che sarà il tempo necessario. Nel nostro piccolo abbiamo portato avanti una ricerca che potrebbe produrre interessanti risultati. Forse riusciremo a dimostrare che la malattia può essere rallentata, se i test daranno un esito positivo. Non immaginavo che la struttura delle cellule malate divenisse così complessa. Non mi stupisco che i migliori scienziati si siano trovati inermi davanti ad una tale difficoltà. I progressi sono stati innumerevoli, abbiamo fatto grandi cose negli ultimi anni. Siamo in fase terminale da sole due settimane e sembra di aver già fatto passi da gigante. Tra noi non è cambiato nulla, tranne la consapevolezza che la clessidra di entrambi finirà la sabbia nello stesso istante. A volte mi sveglio durante la notte credendo di essere morto. In effetti non so come ci si sente ma so che lo scoprirò presto. Per il resto mi limito a sorriderti. 


Tu mi guardi e ripeti che sono un idiota. Io sorrido. Finalmente sorridi anche tu. Non l'hai più fatto da quando ho contratto la malattia da te. 
Sorridi e mi rendi felice. 
Sorridi e capisco che c’è qualcosa che ho bisogno di dirti, qualcosa che ho tenuto per troppo tempo nascosto nel profondo della mia anima. 
Chiudo gli occhi per cercare le parole giuste. 
Li riapro, continui a guardarmi e a sorridermi. Sorrido a mia volta. 
So cosa dire. Inspiro profondamente, sento l’aria necessaria a pronunciare le parole scorrere rapida nei miei polmoni, apro la bocca e...

Frammenti di Memoria - Parte II

Un’ondata di luce e calore la colpì in pieno volto, quasi fosse avvolta tra le fiamme. Un tocco gelido le serrò il polso. Cercò di divincolarsi, ma la presa era salda e lei senza forze. Non riuscì a trattenere le lacrime. Si sentiva impotente. Cercava inutilmente di opporre resistenza. Ironia della sorte, desiderò tornare in quella stanza che le era diventata quasi familiare. Inciampò più volte sulle scale. Le gambe le dolevano. I corridoi di pietra erano vuoti ed immersi nell’oscurità, l’unica fonte di luce era la torcia che l’uomo aveva nell’altra mano. Quando si fermarono, cercò di guardarlo in volto, ma non fece in tempo. Una porta si aprì e lei fu spinta nella stanza con una forza tale da farla cadere. Rimase immobile per un istante, assaporando il calore metallico del suo sangue. Una mano le sfiorò la testa. In uno scatto di rabbia e disperazione, ricorrendo a tutte le forze che le erano rimaste, si spinse in avanti ed afferrò il collo della figura che le era vicina.


Una donna di mezza età, con i capelli arruffati raccolti in un nastro bianco la guardò terrorizzata. Toccava il terreno con la punta dei piedi ed implorava pietà con lo sguardo. Allentò lentamente la presa. La donna riprese fiato e si voltò verso di lei con un sorriso spento. Nell’aria c’era un profumo di lavanda. La stanza in cui si trovava adesso era molto piccola e di forma rettangolare. In un angolo c’era una tinozza piena d’acqua fumante. La donna le prese la mano dolcemente e le indicò la tinozza. Forse si era sbagliata. Quel luogo non le sembrava più tanto orribile. Ma non accettò il modo in cui le cose erano andate. Desiderò affogare tutti i dolori e gli spaventi in quell’acqua, ma, in fondo, se era ridotta in quello stato era proprio a causa di chi l’aveva portata in quel luogo. Con un gesto rapido si liberò dalla donna, che tornò a guardarla con un’espressione compassionevole. Non riusciva a sopportarlo. Fece una smorfia e si diresse verso la porta. Dietro di lei, sentì la donna singhiozzare. Si voltò e la vide in ginocchio dietro di lei. La ragazza le si avvicinò, la prese per mano e, con un sorriso, aprì la porta. Un’ombra che avrebbe definito immensa scivolò rapidamente su di lei. Non riuscì nemmeno a proteggersi.


Riaprì gli occhi all’improvviso, lasciandosi sfuggire un grido. La testa le faceva male. Si sentiva ancora stordita. Adesso si trovava in un letto, con lenzuola pulite e profumate. Con grande sforzo, si costrinse a mettersi seduta. Non aveva più abiti laceri ma una lunga vestaglia bianca. La lunga chioma nera le incorniciava il volto. Tutto le sembrava stranamente innaturale.


Si alzò lentamente dal letto ed esplorò la stanza con gli occhi. Si avvicinò ad una finestra, ma restò delusa nello scoprire che dava su un cortile, non riuscì a stabilire dov’era, complice la fievole luce della luna. In preda alla frustrazione fece a brandelli le lenzuola e il letto stesso, spargendone il contenuto in tutta la stanza. Non era certo il comportamento che si addice ad una donna, ma in quel momento le sembrò l’unica cosa da fare. Pochi minuti dopo, ritrovata la calma, cercò qualcosa di utile nei mobili della stanza.


Trovò solo dei vestiti, tutti simili tra loro. Scoprì che si adattavano perfettamente al suo corpo. Indossò un vestito nero, molto più comodo della vestaglia, e si avvicinò alla porta. Con un po’ di stupore si rese conto che era aperta. Memore dell’ultima esperienza, osservò attentamente il corridoio. Quando si rese conto di essere sola, iniziò a correre a perdifiato. Non sapeva dove stava andando, né se sarebbe riuscita ad uscire da quel posto. Curiosamente pensò alla donna che aveva incontrato in quello che doveva essere un bagno. La testa le pulsava, un dolore lancinante le percorreva tutto il corpo, aveva l’impressione di stare per esplodere da un momento all’altro.


Nella sua corsa trovò delle scale di pietra ed iniziò a scendere, nella speranza che la conducessero all’uscita. Nella fretta rischiò di cadere ed urtò contro la parete. Continuò a correre, iniziando ad ansimare e rallentando l’andatura. Altre scale. Una flebile luce. Si ritrovò in una stanza molto ampia, un lampadario incombeva sulla sua testa, la sua luce illuminava la stanza. Un portone. Appena fuori, il cortile. Le lacrime iniziarono a scorrere nuovamente, ma si costrinse a fermarle. Era giunta alla fine del suo incubo. Sentì un rumore dietro di sé ma si costrinse a non fermarsi. Ormai era fuori. Poteva tornare a casa. Continuò a correre, sentiva il proprio respiro martellare nella testa, la vista che si annebbiava.


Provò un dolore troppo grande. Cadde a terra, riuscendo a malapena a rimanere cosciente. La gamba le doleva. Si voltò e vide una sagoma scura, zanne scintillanti macchiate di rosso. Cercò di combattere con quell’essere, ma non impiegò molto tempo a rendersi conto di non avere più nemmeno la forza di alzare un braccio. “Beh… almeno sei arrivata fin qui, Anna. Non devi avere rimpianti”. Con un sorriso, chiuse gli occhi e l’oscurità piombò su di lei.

venerdì 22 gennaio 2010

Overview

Per ogni blog che nasce c'è un blog che muore... o almeno così dicono.
Nel mio caso questo è vero, essendomi trasferito qui dal blog che avevo su MSN Spaces (sempre e comunque reperibile qui). Se siete interessati ai contenuti del vecchio blog, comunque, potete utilizzare il motore di ricerca personalizzato inserito in questa pagina (proprio qui in alto) che effettua una ricerca incrociata su entrambi i blog. Credo sia utile, almeno finché la "migrazione" non sarà completa.

Un'altra cosa che volevo porre all'attenzione di tutti (bloggers e non) è l'implementazione di Google AdSense (già attivo su questo sito), che vi permette di guadagnare utilizzando gli annunci personalizzati di Google. Per utilizzare AdSense è sufficiente andare sul sito e registrarsi. Seguendo le istruzioni potrete utilizzare gli annunci AdSense su qualsiasi sito web. L'implementazione con blogger.com è ancora più semplice, è sufficiente entrare nel vostro pannello di controllo e utilizzare il tab "Guadagna".
L'account AdSense può essere associato ad un account Google. Quindi, se utilizzate già Gmail, YouTube o altre applicazioni targate Google Inc., potete associare il vostro account attuale con l'applicazione AdSense. Il funzionamento dell'applicazione è semplice: guadagnate 0.05€/cent per ogni click che viene effettuato sugli annunci presenti sul vostro sito web. Quando raggiungerete una cifra prestabilita (credo sia intorno ai 100€), Google vi invierà un assegno via posta da riscuotere direttamente in banca. A differenza di altri sistemi di "guadagno online" che per anni si sono susseguiti rilasciando applicazioni, banner e quant'altro (la maggior parte delle volte questi erano solo sistemi per spargere worms o programmi keyloggers), Google rilascia un semplice codice in javascript da aggiungere alle vostre pagine HTML. Il codice viene generato automaticamente in fase di impostazione del vostro account AdSense (va generato un codice differente per ogni sito su cui volete mettere gli annunci) e questo comprende anche caratteristiche estetiche (colore, dimensione dei banner, formato degli annunci e via dicendo) per rendere il banner adatto al vostro sito. Per gli utenti di blogger.com, ancora una volta, è tutto molto più semplice: AdSense è già presente come modulo da inserire nel vostro blog e si adatta automaticamente ai layout predefiniti.

Tra le altre cose inserite nel blog, potrete notare sulla destra due categorie di video. La prima è relativa ai video creati da me, la seconda ai video di Improv Everywhere, un gruppo newyorkese che si occupa di intrattenimento, sfruttando attori professionisti (e non) per improvvisare scene in pubblico, creando una specie di candid camera "creativa". Vi invito a guardare i video dal loro canale su youtube, ci sono cose davvero divertenti.
L'ultima cosa che noterete è il sondaggio in cui vi chiedo cosa vi piacerebbe vedere maggiormente nel blog (potete anche dare risposte multiple). A conti fatti utilizzerò questo spazio per coprire tutti i punti del sondaggio, trattandosi di cose che suscitano il mio interesse. L'esito del sondaggio mi aiuterà a capire cosa piace a voi lettori, così da sviluppare i contenuti maggiormente in quella direzione (senza però tralasciare le altre).
Ale.

giovedì 21 gennaio 2010

Avatar


Caratteristiche:
Titolo originale: Avatar
Durata: 166 minuti
Regia: James Cameron
Paese: USA
Genere: Fantascienza/Drammatico
Disponibile in 3D e IMAX 3D

La parola "Avatar" viene dal sanscrito (avatara in sanscrito vuol dire "discesa"), letteralmente rappresenta la "discesa" di una divinità all'interno di un corpo mortale. Nella letteratura di carattere religioso ci sono moltissime applicazioni di questo concetto (basti pensare a HorusZeus e ovviamente Gesù). Negli ultimi anni il concetto si è esteso al mondo videoludico, dove con la parola "avatar" si intende una rappresentazione "digitale" di un giocatore reale. In particolare, con l'avvento di giochi noti come MMO (Massive Multiplayer Online), tra cui sicuramente il più famoso è World of Warcraft, questo concetto è diventato parte integrante del linguaggio comune dei giocatori.
Il 15 Gennaio 2010 è arrivato nei cinema italiani il film che ha come nome proprio questo: Avatar.
Il concept del film è relativo proprio alla definizione della parola: ci troviamo in un mondo in cui la tecnologia è in grado di creare dei corpi "vuoti" in cui è possibile inserire la coscienza di un essere umano. Questi corpi sono molto simili, concettualmente, all'idea di avatar relativa agli MMO, con la differenza che questi non scompaiono quando il player (il "pilota", per così dire) vive la sua vita.
La storia che ci viene raccontata è quella di un ex-marine, Jake Sully (interpretato da Sam Worthington, nella foto a sinistra), che viene selezionato per il "progetto Avatar". Il suo compito sarà quello di calarsi nei panni (per essere più precisi nel corpo) di un esemplare di una specie aliena nativa del pianeta Pandora. Il suo scopo è quello di integrarsi nella comunità aliena del pianeta, in modo da svolgere attività diplomatiche. Gli esseri umani sono nettamente i "conquistatori", quelli che prendono ogni cosa con prepotenza, senza tener conto delle conseguenze delle proprie azioni. La divisione tra buoni e cattivi è dunque molto netta ed evidente: da un lato abbiamo i Na'vi (i nativi di Pandora), interessati soltanto al rispetto del loro pianeta e delle tradizioni; dall'altro lato ci sono gli umani, boriosi e avidi, giunti sul pianeta spinti esclusivamente da motivi economici. Lo scontro è prevedibile quanto inevitabile.

Il film è stato diretto da James Cameron, già noto per titoli quali Aliens, True Lies e, ovviamente, Titanic. Passerà alla storia per essere stato il primo film girato completamente con apparecchiature sofisticate in grado di imprimere sulla pellicola immagini stereoscopiche (ovvero è stato il primo film ad essere girato "in 3D"). Un'altra caratteristica tecnica consiste nel fatto che i Na'vi sono stati creati utilizzando tecniche di motion capture tali da permettere di "intrappolare" nelle versioni digitali degli attori anche i dettagli più piccoli e all'apparenza insignificanti. Il risultato è evidente fin dai primi minuti del film, soprattutto ogni volta che incrociamo lo sguardo di Neytiri (interpretata dalla bellissima Zoe Saldana, nella foto qui a destra, vista di recente in Star Trek).
Il film ha già vinto i premi del Golden Globe come miglior film drammatico e miglior regia ed è già al secondo posto tra i film che hanno realizzato il maggior numero di incassi nella storia del cinema, che va quindi ad aggiungersi ancora al successo di James Cameron (al primo posto c'è Titanic).

Cosa si può dire di negativo di questa pellicola che sembra aver stravolto l'immaginario collettivo?
Probabilmente l'aspetto negativo del film può essere riassunto in due aspetti: la "superficialità" di alcuni personaggi, in particolare il colonnello Miles Qaritch (interpretato da Stephen Lang), stereotipato al massimo come il marine "senza cervello" che sa fare solo una cosa nella vita: distruggere. Personalmente mi sarebbe piaciuto anche vedere una Sigourney Weaver più caratterizzata nel ruolo della dottoressa Grace Augustine, ma questa è un'opinione del tutto personale, in quanto sostenitore dell'attrice fin dal primo Alien. Praticamente i soli personaggi che crescono durante il film, cambiano e letteralmente vivono sono i due protagonisti. Il resto del gruppo rimane fermo nella propria posizione iniziale, come dei pilastri intorno a cui ruotano gli eventi.
L'altro punto a sfavore è in realtà una cosa che già si sapeva quando fu presentata l'idea del film, ovvero che la storia ha un'anima caratterizzata da un cliché vecchio di almeno ventisei anni, quando nel 1984 uscì Dune sul grande schermo. Lo stesso tema venne poi trattato nel 1992 con L'ultimo dei Mohicani e più di recente nel 2003 con L'ultimo samurai ed altri titoli meno famosi ma altrettanto intensi (ricordo ad esempio La principessa Mononoke, di Miyazaki). Anche con Avatar ci troviamo a vedere scontrarsi due civiltà, una delle quali insegue il progresso e la ricchezza materiale (divenendo quindi corrotta e crudele) mentre l'altra rimane legata alle tradizioni e alla natura (rimanendo equilibrata nelle sue fondamenta). Anche questa, quindi, è la storia di una persona che appartiene alla fazione dei "cattivi" e rimane affascinato dai "buoni" al punto da desiderare di diventare uno di loro. Nulla di nuovo da questo punto di vista.
Avatar rimane tuttavia un film molto interessante sotto molti aspetti. La storia ha dei ritmi serrati, che tengono lo spettatore attaccato allo schermo per tutti i 166 minuti della pellicola senza mai stancare. Personalmente non mi è mai capitato prima d'ora di riuscire a non distrarmi per così tanto tempo. I due protagonisti (Jake Sully e Neytiri) sono ben caratterizzati e profondi. L'evolversi del loro legame è qualcosa che non può non fare breccia anche nei cuori più duri, rappresentando la quintessenza delle relazioni amorose. I personaggi secondari, sebbene fermi nelle loro caratteristiche emotive, sono carismatici e coinvolgenti e contribuiscono a realizzare quel mix emotivo che rende questa pellicola un must see. Da vedere assolutamente.

Frammenti di Memoria - Parte I

Il tocco freddo della nuda pietra le trasmise una sensazione di panico, la vista era ancora offuscata, una patina attraverso cui la luce della candela sembrava una forma animata indistinta. Cercando di alzarsi in piedi, la giovane donna perse l'equilibrio, scivolando sul pavimento umido. Il sapore metallico del sangue le pervase la bocca.
Voltandosi su un fianco, osservò le mani livide. Con un grido sommesso fece leva sulle braccia e tentò di alzarsi di nuovo. Riuscì nel suo intento, poggiando la schiena madida di sudore contro una parete. Scoprì solo allora che i suoi abiti erano laceri in più punti, c'era sangue ovunque intorno a lei.
Il suo sangue.
Si portò una mano sul volto e ne sentì il calore. Fece una smorfia pensando di avere un aspetto tutt'altro che presentabile in quel momento. Passò la mano tra i capelli, una massa informe e appiccicosa. Ci sarebbero voluti giorni per rimetterli a posto.

La candela consunta brillava nel buio della stanza, di fronte a lei. Cercò di avvicinarsi, ma scoprì di non riuscire a mantenersi in equilibrio senza un sostegno. Una risata forzata le coprì il volto, pensò di non essere mai caduta così in basso. Le gambe le tremavano e la testa pulsava, iniziò a sentire il peso del proprio corpo. Cadde in ginocchio, non riuscendo a sostenere ulteriormente se stessa. Sbuffò per la rabbia e si costrinse a fare qualcosa. Avanzò carponi lungo la stanza fino a raggiungere l'estremità opposta, scivolando più volte sul pavimento freddo. Tentò di alzarsi nuovamente e riuscì ad aggrapparsi a quello che sembrava un tavolo di legno incastrato nel muro di pietra, tenuto insieme da due sottili catene. La candela era poggiata su un piccolo contenitore di ferro, la cera era scivolata fun sulla superficie del tavolo.

Nell'appoggiarsi, la ragazza fece cadere alcuni fogli di carta che ad una prima occhiata sembravano documenti o lettere, ma non riflettè sull'argomento. Afferrò saldamente la candela, il cui calore le parve quasi sovrannaturale, una nicchia di vita all'interno del nulla. Si guardò intorno, facendo affidamento su una vista meno annebbiata, cercando di sfruttare al meglio l'unica fonte di luce di cui disponeva. Gli occhi saettavano cercando di mettere a fuoco l'ambiente, cercando qualche dettaglio che potesse esserle di aiuto. Alcune casse chiuse, il tavolo su cui poggiava per non perdere l'equilibrio e una porta, probabilmente l'unica via di fuga. Servendosi della mano libera per cercare il sostegno di cui aveva bisogno, si avvicinò lentamente alla porta, facendo del proprio meglio per non perdere l'equilibrio. Era di legno ed era serrata, l'unica speranza di fuga si volatilizzò in un sospiro.

Trattenendo a fatica le lacrime, la ragazza si diresse verso le casse poco distanti. Scoprì di riuscire di nuovo a mantenere l'equilibrio, una magra consolazione. Si trovava al centro della stanza quando qualcosa catturò la sua attenzione. Un rumore sordo. E un altro. E un altro ancora. Qualcuno stava scendendo delle scale, probabilmente. E un altro. Quel qualcuno si stava avvicinando. Presa dal panico, la ragazza soffiò sulla flebile fiamma che si spense emanando un filo di fumo. Al buio, non udiva più alcun rumore. Poi un suono secco, la serratura che scattava e la porta che, lentamente, si apriva davanti a lei.

Il Salto

Sola ed impaurita, guardò il proprio interlocutore cercando di scrutare al di là di quegli occhi freddi ed impassibili. Si convinse di avere di fronte un burattino. Chiuse gli occhi e per un istante le sembrò di sprofondare nell’oscurità di una notte senza stelle. Rimase a crogiolarsi in quella sensazione di vuoto che la circondava per pochi, interminabili istanti. Fu pervasa dalla sensazione di cadere ma la consapevolezza di non potersi ferire. La sua immaginazione le concesse il potere di decidere il posto in cui si trovava: campagne sconfinate intervallate da piccoli e grandi laghi. Un luogo dove l’uomo non aveva avuto modo di compiere le proprie efferate scelleratezze. Continuò a precipitare verso un terreno che non avrebbe mai raggiunto. Poté sentire il vento che si agitava intorno a lei, poté deciderne l’intensità. Poté decidere da che parte cadere, verso il cielo o verso la terra. In quel minuscolo spazio in cui era relegata la sua immaginazione poté sfruttare completamente la sua eredità in quanto figlia di Dio. Riaprì gli occhi ed il suo mondo si sgretolò, la gravità riprese il suo verso originario ed i suoi piedi poterono distinguere chiaramente il terreno sotto di lei. L'uomo cambiò la maschera sul volto con una di indignazione. I suoi occhi erano sempre impassibili, non lasciavano trasparire alcuna emozione. Pensò che probabilmente le era stata rivolta una domanda durante il suo viaggio, ma lei in quel momento era troppo distante per ascoltarlo. Sorrise. Conosceva le conseguenze del suo comportamento. Fece un passo indietro, sentì il legno scricchiolare al suo lieve passaggio. L’espressione della persona che aveva di fronte mutò nuovamente. Stavolta indossava una maschera di rassegnazione. Avrebbe voluto strappargli via quegli occhi dal volto. Fece un altro passo indietro. Il legno emise un altro flebile sospiro. Si voltò di scatto e si fermò ad osservare il cielo terso e le montagne stagliate sull’orizzonte. Era lì che si trovava solo qualche istante prima. Ne fu sicura. Riconobbe il paesaggio che la circondava e si domandò se lui la stesse ancora osservando con i suoi occhi spenti. Un altro passo avanti. Era ormai alla fine del suo breve percorso. Guardò verso il basso. I suoi piedi nudi si spostarono ancora di qualche millimetro per trovare la posizione ideale. Inspirò profondamente e chiuse gli occhi ancora una volta. Era circondata dal vuoto e dal silenzio. Anche se non era l’atteggiamento giusto, sapeva che questo lo faceva irritare. Sentì l’aria fredda del mattino lacerarle i polmoni. Ripeté il gesto più volte, finché l’unica cosa che sentì fu il suo respiro regolare. Non c’era più nessuna voce, nessuno che la guardava. C’era solo lei. E il vuoto.

Senza riaprire gli occhi, costrinse il proprio corpo a reagire a degli stimoli ben definiti. I suoi muscoli risposero all’istante e senza causare problemi. Si sentì leggera come una piuma mentre il vento tagliente diventò sempre più acuto intorno a lei. Stava di nuovo precipitando nel vuoto. Poté immaginare il suolo sotto di lei. Non riaprì gli occhi, volle che tutto fosse così come l’aveva creato nella sua mente. Il tempo perse di significato. Stava semplicemente volando. Il tocco freddo dell’acqua la riportò ancora una volta alla realtà. I suoni tornarono ad invadere la sua testa, ovattati. Riaffiorò lentamente in superficie e riaprì gli occhi. Il cielo era limpido, il sole alto e caldo.

Il trampolino da cui aveva iniziato il suo volo le sembrò così lontano… suo padre continuava a guardarla dall’alto con il suo sguardo freddo e distaccato. In fondo, lei sapeva che quello sguardo tradiva effettivamente i suoi reali sentimenti. Ma le dava la carica pensare che non fosse così. Dalla maschera soddisfatta capì di aver rispettato le sue aspettative. Il suo corpo divenne perfettamente rilassato. Lo Lasciò galleggiare sull’acqua e rimase ad osservare il cielo. Adorava quelle sensazioni. La facevano sentire viva, in grado di volare anche senz’ali, in grado di governare perfettamente il proprio corpo. Per pochi istanti, la facevano sentire in perfetta sintonia con l’intero universo. Sorrise al pensiero che la prossima volta migliaia di persone l’avrebbero vista. Sperò soltanto di riuscire a trasmettere almeno alla metà di loro la splendida sensazione di un salto nel vuoto.

Ricomincio da due...

Parafrasando Troisi, due cose mi sono venute bene finora... non avrebbe senso ricominciare da zero. Eccomi qui, dunque, con una versione "riveduta e corretta" di quello che era il mio blog presente su MSN (per quelli di voi che già mi conoscono). Principalmente utilizzo il blog per esprimere opinioni, per condividere emozioni in un "formato digitale". Adoro scrivere, quindi spesso troverete piccoli racconti. Si tratta di cose che ho scritto in passato o che sto continuando a scrivere e che spero possano stuzzicare la fantasia di chi le legge. Principalmente mi dedico alla narrativa, poiché non sono per niente portato per la poesia... a volte provo anche quella, ma raramente ne scaturisce qualcosa di vagamente passabile... quindi non temete :P
Iniziamo da qui questo nuovo percorso allora, nella speranza che sia duraturo e piacevole per me che scrivo e soprattutto per voi che leggerete :)

Ale.