mercoledì 8 maggio 2013

Dylan Dog - Vittima degli eventi


In questa recensione parliamo un po' di Dylan Dog.

Non credo che il personaggio abbia bisogno di particolari presentazioni. In Italia, almeno, un po' tutti ci siamo trovati di fronte al personaggio ideato da Tiziano Sclavi. L'Indagatore dell'Incubo è "nato" nel 1986 e la sua vita è stata particolarmente longeva grazie all'estro dell'autore, che sa come tenere il lettore col fiato sospeso fino alla fine di ciascuna storia. Col passare degli anni si sono alternati anche altri autori, che hanno contribuito a mantenere elevata la qualità del fumetto e garantito ai lettori una continuità con quello che era il progetto originale di Sclavi.


Adesso ci sono due cose da dire, una buona e una cattiva. Parto dalla cattiva: di Dylan Dog esistono due adattamenti cinematografici. Purtroppo. La prima versione prende il nome di Dellamorte Dellamore, che fa già venire il mal di stomaco a qualsiasi grammar nazi. In realtà questo film vuole sfruttare le caratteristiche del personaggio di Dylan Dog, senza contestualizzarlo ma semplicemente prendendo tutto ciò che si capisce di lui. Dalla copertina degli albi. Sì, perché in effetti l'unica cosa che ricorda DD è la faccia di Rupert Everett nella locandina del film. L'Indagatore dell'Incubo è diventato il guardiano di un cimitero. Groucho ha messo su circa 200kg, non ha più bisogno degli occhiali e ha dimenticato come si parla. Londra diventa Buffalora, l'incubo e la paura arrivano con le facce putrefatte degli attori principali. Poi c'è Anna Falchi. Lei ha un ruolo molto particolare, sarebbe anche interessante da approfondire ma non viene fatto nel film, che vi lascia con il finale più enigmatico della storia del cinema, probabilmente dovuto al fatto che la trama era diventata talmente tanto incasinata che per trovare un finale sensato avrebbero dovuto fumare altra erba, che ormai l'avevano finita.

Ma per gli appassionati di questo fantastico personaggio la speranza di qualcosa di buono risorse nel 2010. È stato infatti l'anno d'uscita di un film dal titolo promettente: Dylan Dog - Il Film. A questo giro sono riusciti a replicare addirittura la camicia rossa e la pistola. La pistola... la battuta più promettente del film, purtroppo, riguarda proprio l'arma. Mi pare di ricordare che fosse una cosa del tipo "basta avere una pistola più grande".
La trama: siamo a New Orleans (giustamente) e Dylan Dog si è ritirato a vita privata insieme al suo assistente. Che non è Groucho, bensì Marcus. Quest'ultimo diventa uno zombie destinato a passare la vita alla ricerca di pezzi di ricambio, mentre il suo datore di lavoro va in giro alla ricerca di un mostro che, se non ricordo male, risulterà essere un vampiro o qualcosa del genere.
Ho pianto. Veramente tanto.
Cosa si deve fare per avere qualcosa di buono dal cinema, con un personaggio su cui ci sono innumerevoli racconti splendidi, di altissima qualità? E poi Groucho... è un personaggio talmente fantastico da non poter essere realizzato da nessuno sceneggiatore vivente?

Passiamo adesso alla notizia buona (finalmente!): siamo nel punto giusto e al momento giusto per dare una possibilità all'ormai depresso Dylan.
Un gruppo di ragazzi (e già qui tiro un sospiro di sollievo) ha deciso di intraprendere una missione. Vogliono ridare a questo personaggio ciò che merita: una storia degna, una dignità cinematografica e, soprattutto, Groucho. Prendete un bel caffè, sedetevi e dedicate un paio di minuti a questo video:



Fatto? Bene. Avrete capito che si tratta di un progetto interessante quanto ambizioso, e l'italiano medio raramente mette insieme queste due parole quando gli si chiede di contribuire.
Anch'io, se mi trovassi davanti a due perfetti sconosciuti che mi chiedono soldi, probabilmente passerei avanti alla prossima notizia. Per fortuna parliamo di persone che, negli anni, hanno già dimostrato una grandissima capacità nella realizzazione di prodotti pubblicati in rete. Claudio Di Biagio e Matteo Bruno in primis, li ho "conosciuti" (virtualmente parlando) in tempi remoti e non sospetti e li seguo da un po'. Sono dei ragazzi con grandi capacità espressive, soprattutto con una telecamera a disposizione. 

Prima di pensare acome contribuire per questo progetto, sicuramente vorrete sapere qualcosa di più su di loro. Potete ad esempio partire da Freaks!, una webseries che di recente ha visto la conclusione della seconda stagione.
Sul canale youtube di Matteo e di Claudio potrete trovare anche altri progetti minori e potrete farvi delle domande, come ad esempio "se avessero la possibilità di realizzare un film su Dylan Dog, come verrebbe?"
Considerate anche le altre persone che ci lavoreranno, come Luca Della Grotta e Leonardo Cruciano... e fate un po' di conti.
Il budget richiesto è destinato praticamente solo alla realizzazione del film, considerando che una parte verrà trattenuta dal sistema di crowdfunding (PayPal trattiene 0,35€ più il 3,4% sul totale versato). Aggiungete il costo dei macchinari, la prenotazione delle location, il pagamento per attori e via dicendo: questi ragazzi non metteranno in tasca nulla, se non la soddisfazione di aver ridato dignità a un pezzo di storia fumettistica italiana. Sono sicuro che, se ci pensate bene, a questo punto dovreste già avere l'inclinazione giusta per contribuire a questo progetto. Se non fosse ancora sufficiente, considerate che nel progetto di crowdfunding sono presenti anche diversi perks (ricompense) per chi contribuisce, che possono darvi accesso a materiale unico o addirittura la possibilità di partecipare attivamente alla stesura del film.
Che siate fan del buon vecchio DD o meno, quindi, sono convinto che dovreste prendere in considerazione l'idea di contribuire e di dare una mano per realizzare qualcosa di unico.

Il link per donare sul sito IndieGoGo è questo

Ah, prima che lo chiediate... perché non Kickstarter? Purtroppo nessuno di loro è residente in UK o negli USA, né (almeno credo) sia in possesso di un documento di riconoscimento rilasciato dalle autorità di questi due paesi, quindi Kickstarter (per quanto molto più frequentato e visibile) non era un'opzione fattibile.


Se volete entrare in contatto con il gruppo potete farlo su Facebook

Il traguardo da raggiungere, al momento in cui finisco di scrivere questo articolo, è ancora molto lontano. Sono sicuro tuttavia che avrete già aperto il link su IndieGoGo e siate in procinto di terminare l'operazione di pagamento, vero? Diamo fiducia a questi ragazzi per un progetto completamente italiano, su un personaggio completamente italiano e per un pubblico, si spera, internazionale!

venerdì 19 agosto 2011

Restyle

Effettuato un po' di restyle grafico, per agevolare la lettura dei contenuti. Che ne pensate?

venerdì 10 giugno 2011

Fierezza

Quando l’ultimo rintocco della campana segnò la fine della giornata e della vita, l’uomo si accasciò debolmente contro la parete imbrattata. La piazza era piena di persone che vi si riversavano dalle strade come branchi di leoni intorno alla preda. I suoi occhi si chiudevano lentamente, stanchi, offuscati. Una bambina si voltò verso di lui, uno sguardo pieno di domande. Poteva quasi leggerle nei suoi occhi azzurri, nelle gote rosse e i tratti indefiniti che caratterizzavano il suo volto. Cosa sta succedendo? Perché la vita scorre via dal corpo di quell’uomo?

Era quasi ironico. L’unica persona consapevole di cosa stava accadendo era un’anima innocente alle prese con la morte per la prima volta nella sua vita. La vita e la morte. Entità eterne, dal volto sfocato. Aleggiano sul mondo e, come amanti durante un amplesso, ciascuno da e riceve assecondando un desiderio condiviso.

Arthur portò la mano inconsciamente verso la tasca della giacca, quella dove teneva le cose importanti. Le sue mani sfiorarono un pezzo di carta su cui l’inchiostro aveva creato strane forme, rotonde e dure allo stesso tempo, cariche di rancore e tristezza. Le forme delineavano dei caratteri, anch’essi impregnati di sofferenza. I caratteri, per un attento osservatore, formavano parole apparentemente prive di senso, tuttavia comprensibili da chiunque. Le mani di Arthur sfiorarono tutto ciò che rimaneva al mondo di suo figlio: il suo nome scritto su un pezzo di carta. Le dita istintivamente repulsero il foglio come una fiama viva, urtando poi l’oggetto del desiderio inconscio. Arthur non credeva di avere ancora la forza necessaria per quel gesto, tuttavia si scoprì in grado di portare alla bocca la sua ultima sigaretta.

Poteva essere tranquillamente la scena di un film: il povero clochard seduto in maniera scomposta sul bordo della strada innevata, in un angolo buio della piazza più popolata della città, nella speranza che qualcuno gli elargisca un pezzo di pane. L’ironia della sorte voleva invece che lui fosse un uomo senza ruolo in quel quadro pittoresco. Non era neanche più consapevole della sua appartenenza al genere umano, tuttavia la sua somiglianza con i mammiferi che lo circondavano era impressionante, innegabilmente. Il suo respiro ormai non aveva più nulla di regolare, riusciva a stento a muovere la sua mano destra per farle seguire un movimento ancestrale, radicato nel profondo della sua anima.

Arthur iniziò a fumare all’età di dodici anni. La prima sigaretta, come spesso succede tra i giovani, venne consumata come parte di un rituale pagano, in cui i partecipanti dimostrano la propria appartenenza al branco attraverso gesti inutili ma pieni di significati profondi. Il rituale si ripeteva ogni giorno, di nascosto al mondo, nell’oscurità, dove il giovane Arthur poteva sentirsi importante, considerato, unico. Col tempo capì che non era questo il modo di dimostrare la propria essenza, tuttavia l’abitudine rimase. Aveva un cancro ai polmoni e forse ancora qualche mese di vita, ma si rese conto che non sarebbe morto in quel modo. Non più.

Il giovane Arthur capì ben presto che bisogna imparare subito a trasportare carichi emotivi grandi più di noi, forti più di noi. Quando suo padre morì, Arthur aveva sedici anni. Accadde in maniera talmente improvvisa che il ragazzo non capì mai fino in fondo cos’era successo. Nella settimana successiva al tragico evento, Arthur era convinto di aver visto suo padre aggirarsi per la casa, arrivò a credere che in realtà fosse semplicemente andato via di casa. Sua madre fu costretta a fargli toccare con mano la realtà, maledicendo Dio e il mondo. Arthur vide gli occhi del padre infossati e chiusi e pensava che stesse dormendo. Toccò la sua mano fredda e provò a stringerla nelle sue, cercando di trasmettergli un po’ del suo calore, almeno un po’, quanto bastava per farlo risvegliare. Suo padre era forte, lo era sempre stato. Aveva bisogno solo di un po’ di calore.

All’età di vent’anni, Arthur comprese l’amore. Non fino in fondo, non completamente, ma nella sua purezza era sicuro di averne spremuto l’essenza. Quando capì di aver frainteso tutto, Arthur imparò l’umiltà. Il suo cuore divenne sempre un po’ più duro, pensò anche di non essere più in grado di amare realmente.

Conobbe Maria all’età di ventisei anni. Visitò il capezzale del suo letto d’ospedale infinite volte, l’ultima all’età di trentanove anni. La vita avrebbe potuto essere perfetta. Una casa, una moglie, una famiglia ed una sigaretta sempre a portata di mano. La vita e la morte, invece, erano gelose di quell’amore così intenso e vollero insegnargli una lezione fondamentale: non provocare mai l’equilibrio che Dio ha scelto per l’uomo, non adagiarti su un letto di felicità. La malattia consumò Maria lentamente, giorno dopo giorno. Dopo la nascita di William si aggravò sempre più rapidamente fino a portarla via. William aveva dodici anni, la stessa età che aveva Arthur quando fumò la sua prima sigaretta.

Da quel giorno erano passati quattro anni. William era rimasto scosso dalla perdita della madre, da pochi mesi aveva deciso di andare a vivere da solo. Era scappato di casa solo un anno fa, eppure per Arthur era sembrata una vita. Aveva passato quell’ultimo anno cercandolo ovunque. Aveva chiesto ad amici, parenti, perfetti sconosciuti. Si era affidato alla polizia, investigatori privati e, di nuovo, a perfetti sconosciuti. Aveva abbandonato ogni speranza, eppure continuava a cercarlo. Aveva girato il mondo più volte, visitando città sempre diverse, appigliandosi anche soltanto ai sussurri del vento. Era arrivato in scozia soltanto due giorni fa. Aberdeen era particolarmente fredda, particolarmente buia. All’incrocio tra Lindsay Street e Golden Square, un uomo gli aveva dato quel foglio di carta con scritto un nome, un indirizzo, una speranza. William aveva cambiato nome in Andrew. Andrew era un ragazzo di sedici anni che viveva in un monolocale in affitto. Si pagava da vivere lavorando come garzone in una panetteria a due isolati da lì. Arthur non avrebbe potuto sentirsi più fiero di suo figlio. Pochi istanti dopo, venne a conoscenza del fatto che il giovanissimo Andrew era stato investito da un’automobile. L’autista era ubriaco.

William, o Andrew, aveva sedici anni quando morì. La stessa età di suo padre quando conobbe la morte per la prima volta nella sua vita.

Fu in quel momento che tutto divenne chiaro. Come suo padre prima di lui, Arthur si accasciò al suolo lentamente, mentre la vita scorreva via dal suo cuore. Come suo padre sapeva cosa stava accadendo, si rendeva conto di come sarebbe morto. Il suo cuore smise di battere mentre una bambina, di soli otto anni, scopriva per la prima volta la differenza tra la vita e la morte.