martedì 26 gennaio 2010

Frammenti di Memoria - Parte IV

"Se oggi morissi, tutto sarebbe più semplice."


La mente di Anna non riuscì a pensare ad altro. Era così ogni volta, appena si svegliava. Il pensiero le lacerò la mente, come carne infilzata da migliaia di aghi. Potè sentire il cuore spaccarsi ad ogni battito, il sangue scorrere acido nelle vene, finché il corpo non si scosse in un unico, feroce spasmo. La nausea le invase le viscere, come succedeva ogni volta, e si costrinse ad aprire gli occhi. La luce artificiale dell'unica lampada, la cui fiamma danzava con l'armonia che solo il vento poteva darle, penetrò nella retina infondendole un calore anomalo, estraneo. Anna richiuse gli occhi. Era troppo. Era già troppo il rendersi conto che la morte non avesse senso. Doversi confrontare anche con il mondo era decisamente superfluo. Avrebbe voluto semplicemente rimanere lì, senza doversi muovere, senza dover riaprire gli occhi.

Ebbe sete. La gola le bruciò come una pira in fiamme. Non riusciva a sopportare neanche quello, una necessità di cui avrebbe volentieri fatto a meno, una caratteristica eccessiva, di cui non aveva bisogno.
Si massaggiò leggermente le tempie con le mani, deglutendo. Questo peggiorò solo il desiderio di bere qualcosa di forte, qualcosa che potesse far crollare il mondo, con i suoi colori e le sue forme assurde. Qualcosa che potesse farla tornare in quel mondo nero e silenzioso in cui si trovava poco prima, qualcosa che facesse esplodere il sole, lasciando il posto alla notte. Cercò intorno a lei, tastando l'aria, finché le sue dita non sentirono il bordo freddo e levigato di una bottiglia vuota. Anna imprecò e cercò di prendere coscienza di sé, lentamente, aspettando che il mondo intorno a lei, ancora una volta, prendesse quella forma così familiare, così odiata.

La prima cosa che fece breccia nella fortezza che era diventata il suo corpo furono i suoni. Erano pesanti, nonostante provenissero da lontano. Venivano dal piano di sotto, dove gli avventori stavano dando fondo alla paga della giornata. Anna si domandò che ora fosse, ma la risposta non le interessava realmente. Dopo i suoni arrivò la luce e con essa i colori. Erano freddi, intrappolati in forme che non riuscivano a contenerne l'essenza, incrinati e corrotti dal tempo. Arrivarono poi gli odori, acri e pungenti, di alcool, sudore, letame, e sangue. La locanda doveva essere piena, probabilmente stavano sgozzando un altro maiale sul retro. La finestra era aperta e fu quasi sicura di sentire gli ultimi spasmi dell'animale morente. Fortunato. Non doveva più condividere quel mondo con lei.

Si mosse. All'inizio il suo corpo le parve pesante, un bagaglio inutile e vuoto. Una sensazione sgradevole, ma durò soltanto per un istante. Il suo corpo era snello ed agile, come sempre. Si mise a sedere. Si guardò pigramente intorno, con una luce di speranza negli occhi. Sperava che il mondo intorno a lei fosse cambiato, anche di poco. Era l'unica cosa che ancora la faceva sentire vagamente viva. Una speranza che si infrangeva ogni volta. Flebile, ormai ridotta ad un'abitudine, non riusciva a separarsene. Non sapeva se esserne felice o meno. Non sapeva nemmeno più cosa volesse significare "essere felice".

Rimase immobile per molto tempo. La luce della luna filtrava attraverso la tenda porpora, donando ai suoi capelli corvini una sfumatura rossastra, lucente. Ciocche di capelli le scendevano morbide lungo le spalle nude, bianche come la neve. La sua pelle riluceva come marmo sullo sfondo ceruleo della parete alle sue spalle. Una mano le copriva gli occhi, ancora esausti per lo sforzo compiuto svegliandosi. Chiunque fosse entrato nella stanza avrebbe pensato di trovarsi di fronte il fantasma di una bellissima donna morta, suicidatasi dopo aver perso ogni cosa. Ad Anna non interessava tutto questo. Le girava la testa, voleva soltanto bere. Si alzò e guardò il pavimento, come per essere sicura di starvi poggiando sopra i piedi e di non stare fluttuando a mezz'aria. Indossava una camicia da notte di lino bianco, smanicata e priva di ricami, a parte tre bottoni aperti all'altezza del petto. Non ricordava se facesse caldo o freddo. Si mosse lentamente, senza far rumore. Prese un vestito pulito, il suo preferito. Era bianco, molto semplice, con una lunga gonna che le sfiorava appena i piedi scalzi. Ultimamente non indossava calzature, non ne sentiva la necessità. Si ravvivò i capelli ed uscì dalla piccola stanza umida, trovandosi immersa nel caos e nel fumo della locanda.

Nessuno badò a lei, tutti erano intenti nello svolgere le loro attività abituali. Anna non li degnò nemmeno di uno sguardo, non aveva mai avuto niente a che fare con quella gente e non voleva iniziare oggi. La locanda aveva una comoda scala che usciva direttamente sul retro, utilizzata per lo più dalle prostitute e dai loro clienti che preferivano rimanere inosservati. La discrezione era importante per l'oste e questo gli consentiva di continuare ad esercitare la professione e di poter servire clienti molto facoltosi. In questo modo, inoltre, nessuno si lamentava mai dello squallore e della sporcizia. Anna evitò con cura quelle che sembravano vistose macchie di vino ed altri liquidi che serpeggiavano fino all'uscita e si ritrovò nel cortile, dove poteva ancora sentire l'odore del sangue degli animali sgozzati. Si allontanò a lunghi passi, non aveva intenzione di rimanere in quel posto più del tempo necessario. Un attimo dopo era in strada, i suoi piedi si poggiarono sulla pietra e lei provò un senso di sollievo.

La pietra fredda e umida le dava un senso di familiarità. La notte era vuota, la città sembrava respirare, affannata come un uomo in punto di morte. Sembrava che la società potesse crollare su se stessa, sprofondare nelle viscere della terra e sparire per sempre. Purtroppo non era così. Il mondo continuava ad esistere e, nonostante sembrasse sull'orlo della distruzione, continuava ad espandersi ed a corrompere ogni cosa, facendo marcire ogni cosa. Gli uomini avevano imparato a sfruttare la natura, ad asservirla, a renderla simile ad una marionetta. Stupidi. Non c'era altro modo per definire delle pedine che si fingevano manipolatrici. Gli uomini erano stati creati dalla terra e non il contrario. Solo la stupidaggine umana poteva ignorare questa semplice verità.

La gola continuava ad ardere. Anna mosse prima un piede, poi l'altro, meccanicamete, verso una meta non definita. Ondeggiava, cambiando direzione come cambiava il vento, sospinta soltanto dall'istinto. Vagò per qualche ora, seguita soltanto dalla luna e dalle stelle, finché non si trovò davanti ad una casa con le luci ancora accese. Anna capì che stavano festeggiando qualcosa. Stralci di dialoghi le fecero capire che si trattava di una nascita. Il cuore le si riempì di una gioia ed una tristezza immense. Una nuova creatura partorita dal grembo di una donna, un miracolo che riusciva sempre a fare breccia nel suo cuore. Soffriva per il destino che attendeva il cucciolo d'uomo, per la sofferenza che il mondo aveva in serbo per lui. La porta era aperta. Entrò, senza pensare ulteriormente. Lasciò che ogni cosa andasse come doveva, in modo che il flusso degli eventi fosse dettato dal solo istinto.

Quando riprese controllo di sé si ritrovò in ginocchio, in una piccola stanza, circondata da un profumo soave. Le pareti erano rosse, Le sue mani accarezzavano ancora il corpo esangue della donna, ancora rannicchiata intorno al fagotto che rinchiudeva il suo dono più prezioso, l'ultimo tentativo di una madre per proteggere il poprio figlio. Anna scostò lentamente le braccia della donna, in modo da scoprire il volto del bambino che piangeva, per perdersi nello sguardo di quella creatura meravigliosa.

Prese il bambino e si rialzò, ripercorrendo la strada che aveva fatto fino all'ingresso della casa, evitando con cura di calpestare i cadaveri dissanguati ai suoi piedi. La sete era finalmente passata. Il sangue dolce e caldo scorreva nel suo corpo, inondandola di una sensazione di benessere. Il suo vestito preferito era immacolato. Anna non ricordava mai cosa succedeva quando si nutriva, ma sembrava che anche in quel momento fosse consapevole di cosa era importante per lei. Per questo motivo decise di tenere il bambino. La bestia che albergava nelle sue spoglie mortali aveva deciso di tenerlo in vita, lo riteneva importante. Anna non riusciva a capacitarsi di questo avvenimento. In passato aveva lasciato dietro di sé solo morte e distruzione, adesso guardava a quella vita appesa a un filo che si trovava tra le sue braccia.

Ritornò alla locanda quando il sole stava ormai per sorgere e sfruttò il potere del suo sangue per ammaliare l'oste ancora una volta, riuscendo a convincerlo che la sua stanza adesso fosse occupata da una madre in fuga dal marito violento, che ovviamente aveva versato il compenso per una settimana in anticipo. La stanza era ancora come l'aveva lasciata, la lampada aveva esaurito l'olio e si era spenta. Anna richiuse la finestra, ripromettendosi di impiantare l'ordine che non fosse mai più aperta nella cameriera che si occupava della pulizia della sua stanza. Aveva sempre sperato che lo facesse durante il giorno, quando il sole poteva purificare il suo corpo e farla inspirare l'ultimo bruciante respiro della sua esistenza, ma probabilmente quella pensava che lei non volesse essere svegliata. Anna sapeva che, durante il sonno, il suo corpo appariva come quello di un cadavere appena deposto in un loculo. Qualsiasi persona dotata di buon senso avrebbe pensato che fosse meglio lasciarla dormire e non disturbarla nemmeno con la luce del sole. Adesso le cose erano diverse, non pensava più a se stessa.

Aveva portato con sé la cesta del bambino, alcuni pezzi di stoffa e un cuscino di piume, e vi depose il piccolo con cura. Aveva smesso di piangere e si era addormentato. Anna provò un brivido nel sentire il suo piccolo cuore che batteva, forte e sicuro. Non sapeva se il bambino avesse già un nome, ma era troppo stanca per pensare a questa cosa. Avrebbe scelto un nome l'indomani notte, se le cose fossero andate come sperava. Posò delicatamente la culla sul letto, accanto a lei, e decise che se quel bambino avesse domato la bestia al suo prossimo risveglio, quando la sete avrebbe di nuovo invaso il suo corpo ed annebbiato la sua mente, lei lo avrebbe accudito come se fosse stato suo figlio. E gli avrebbe detto ogni cosa, svelato ogni segreto. Sarebbe vissuto con la consapevolezza che il mondo aveva partorito un abominio come lei per liberarsi della piaga che lo stava facendo marcire prima del tempo. Avrebbe saputo che c'erano molti altri abomini sulla terra, che lentamente ne stavano riprendendo possesso, e gli avrebbe dato la facoltà di scegliere come gestire la sua vita, senza alcuna forzatura. Sarebbe stato suo figlio. In cuor suo, Anna desiderava che egli fosse anche il suo carnefice.

L'idea l'eccitò al punto che, la notte successiva, Anna riprese i sensi non pensando alla morte che l'aveva abbandonata nuovamente ma alla vita che batteva impetuosa al suo fianco.

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