venerdì 30 aprile 2010

L'Anima della Terra - Parte II (Le Storie Infinite - Parte III e IV)

Le ali nere avvolgevano la creatura. Il rigetto da parte della Terra era troppo forte per essere ignorato. Doveva spostarsi. Immediatamente.
Rantolando, la vista ancora annebbiata, strisciò lentamente lungo la roccia, artigliando le pareti in modo da fornire al resto del corpo una spinta sufficiente. La luce del sole la investì in pieno e gli occhi furono sottoposti ad uno sforzo mai provato prima. Cercando di proteggere il proprio corpo dalla luce e dal calore, scavò rapidamente la sabbia di fronte a lei, trovandovi un riparo. Doveva attendere ancora. Il desiderio di uscire allo scoperto e dilaniare la propria vittima era irrefrenabile, la creatura schiumava al solo pensiero. Si costrinse ad aspettare. Aveva ripreso una mobilità decente, ma i sensi erano ancora intorpiditi a causa del lungo viaggio. Avrebbe portato a termine la propria missione entro quella notte. Mancavano poche ore. Il tramonto l’avrebbe condotta alla vittoria. Pregustando il sapore del sangue della propria vittima, si concesse un sonno tormentato dal delirio della follia.

La morte dei pescatori non sembrava essere causata dalle ferite, per quanto queste erano profonde. Tutti i deceduti presentavano segni di un arresto cardiaco. In seguito i loro corpi erano stati dilaniati.
“Uno scenario da film” pensò l’ispettore Wils rileggendo il rapporto delle autopsie. Cosa poteva aver causato un arresto cardiaco a dieci marinai? Tutti nell’arco di pochi secondi. Tutti i marinai soffrivano di cuore? Era un’idea ridicola. Tuttavia, non c’era dubbio sulla causa della morte. Arresto cardiaco. Rilesse più volte il rapporto, cercando qualche scappatoia, qualche dettaglio che poteva rivelargli cosa fosse accaduto. Soprappensiero, accese un’altra sigaretta quando bussarono alla porta del suo ufficio.
"Avanti".
Un ragazzo giovane in uniforme entrò rapidamente nella piccola stanza e lasciò un fascicolo sulla scrivania.
"I risultati della scientifica", disse. Scivolò indietro sui propri passi, salutò il suo superiore e richiuse la porta.
Arthur non capiva perché i giovani avessero così tanta paura di lui. Doveva avere un aspetto davvero orribile. Sospirò, pensando di avere dei problemi più gravi da affrontare in quel momento, ed iniziò a leggere il nuovo rapporto che minacciava di farlo restare sveglio per tutta la notte.

Anna aveva appena finito di parlare al telefono con un’amica in preda ad una crisi di nervi quando qualcuno bussò alla porta. La casa era ancora sottosopra, c’erano da rifare i letti e la cucina aveva bisogno di una pulita… “i guai non vengono mai da soli” pensò. Quando aprì la porta, non c’era nessuno. Pensando ad uno scherzo di cattivo gusto, in un primo momento non notò la lettera. Portava il suo nome ma nessun mittente. Incuriosita, si affrettò ad aprirla. Conteneva una piccola pietra nera, dai contorni non lavorati. Se non fosse stato per l’intensità innaturale di quel nero, avrebbe potuto scambiarla per una pietra qualsiasi.
Nient’altro. Perché qualcuno le aveva inviato una cosa simile? Non riusciva ad immaginare di chi poteva essere quella strana idea. Guardò per qualche istante la pietra, come se potesse parlarle e darle le risposte che cercava. Dopo qualche attimo, resasi conto di sperare in qualcosa di ridicolo, ripose la pietra in una tasca e se ne dimenticò. Dopo qualche minuto, Catherina tornò a casa ed aiutò la figlia con le faccende. Il sole stava ormai tramontando ed Anna era troppo indaffarata per sentire la lieve melodia che proveniva dal mare.

La creatura aprì gli occhi. Avvolta dalle tenebre, sgusciò dal proprio nascondiglio. Assaporò il freddo notturno per un attimo, poi ebbe uno spasmo e la sua mente tornò a focalizzarsi sulla preda. Spiegò le ali e s’innalzò nell’oscurità, oltre le nuvole.

Guidava ormai da più di un’ora. Accese una sigaretta ed iniziò a ripetere mentalmente la lista degli indizi che era riuscito ad ottenere durante tutta la giornata. Una manciata d’informazioni, di cui probabilmente solo la metà era utile. Forte del proprio istinto, aveva deciso di lasciar perdere quei rapporti che non facevano altro che confondergli le idee. Avrebbe cercato degli indizi più concreti. Aveva già parlato con le famiglie dei defunti, ricavando ben poche informazioni. L’ultima persona della sua lista era la dottoressa Cooper. Abitava poco fuori città ed era la persona che aveva redatto l’autopsia. Fermò la macchina a pochi passi dalla casa ed osservò il panorama. Il mare era calmo ed il sole vi si tuffava lentamente, lasciando il posto al crepuscolo. Sospirando, si affrettò a bussare alla porta.

Anna ebbe l’impressione di sentirsi perseguitata. Aprì la porta e fece accomodare l’ispettore in cucina, mentre chiamava sua madre.

L’oscurità sopraggiunse rapidamente, e con essa la creatura. Planò fino a raggiungere la casa e si fermò a pochi metri da essa. La sete di sangue era irrefrenabile. Senza badare a quello che la circondava, la creatura mosse il suo pesante corpo fiutando la propria preda. Scaraventò lontano da sé tutto quello che rappresentava un ostacolo, comprese le automobili ed un piccolo gazebo. I rumori all’interno della casa le fecero capire di non essere più nascosta. Non aveva importanza. Distrusse la parete di legno di fronte a sé e scivolò all’interno dell’abitazione. Gli sguardi terrorizzati dei piccoli esseri umani di fronte a lei contribuirono ad aumentare il suo desiderio di distruzione.

L’ispettore Wils cercò di mantenersi il più calmo possibile. Il trambusto lo aveva già messo in guardia ma non si aspettava nulla del genere. La creatura piombò così all’improvviso nella casa che ebbe a stento il tempo di estrarre la pistola e fare fuoco. Non pareva sortire grandi effetti. La dottoressa Cooper era ferita ad un braccio, probabilmente era svenuta. La ragazza era ancora in piedi, il suo volto era completamente terrorizzato. Era immobile davanti alla creatura. Arthur si gettò su di lei salvandola dagli artigli della creatura, che distrussero gran parte della stanza. Non riusciva più a vedere la dottoressa, sotto le macerie. Sapeva di non avere tempo a disposizione. Iniziò a correre verso la città, trascinando la ragazza. Non era abbastanza veloce. Ben presto sentì il fiato dell’essere su di sé. Poi il nulla.

Il giorno correva veloce, la notte prendeva prepotentemente il sopravvento e con essa una miriade di creature deformi echeggiava nell’oscurità. Anna correva disperatamente attraverso un bosco di cui non aveva memoria, sentendo sempre più vicino il suo inseguitore. Aveva il fiato mozzato ed una gamba ferita. Correva a perdifiato, inciampando nelle radici nodose degli alberi e ferendosi più volte. I suoi pensieri erano indirizzati solo al percorso di fronte a sé, consapevole di non poter tornare indietro. Pervasa dalla rabbia e dalla frustrazione, si voltò per affrontare il proprio inseguitore. Una creatura si ergeva alle sue spalle, in attesa. Un’oscurità innaturale la avvolse. Riusciva a scorgere solo gli occhi del mostro. Erano iniettati di sangue, sprizzavano odio. Odio nei suoi confronti. Non ricordava di aver mai visto quell’essere e si chiedeva da dove scaturiva tale odio. Si portò istintivamente una mano al fianco. Sentì qualcosa di freddo al tocco, qualcosa di simile a… una pietra. Estrasse lentamente la pietra dalla tasca. Era nera come l’oscurità che la circondava, pulsava come se fosse viva. La creatura parve aver notato la sua distrazione e ne approfittò. Un sibilo e gli occhi rossi come il sangue furono su di lei. Qualcosa le dilaniò il petto e poi…

Anna aprì gli occhi. La sabbia fredda le faceva da giaciglio. Il sole faceva capolino dal mare sui resti di quella che era la sua casa, ormai distrutta. Si alzò barcollando, estremamente debole. Osservò con occhi vuoti il volo di un gabbiano su quella immensa distesa d’acqua.

Arthur Wils riaprì gli occhi. Un piccolo movimento bastò per ammonirlo. Una gamba e qualche costola rotta. Poteva andare peggio. Si guardò rapidamente intorno, minimizzando gli sforzi. Notò quasi subito la ragazza, sorpreso ma rassicurato nel vederla in piedi. Senza dubbio stava meglio di lui. Non notò immediatamente l’arma da fuoco che stringeva tra le mani. La sua. La consapevolezza gli strappò un’imprecazione ed un movimento troppo brusco per le sue condizioni. La ragazza parve averlo udito. Si girò verso di lui e gli sorrise. Aveva uno sguardo freddo, incorniciato da una chioma nera arruffata che si stagliava sull’orizzonte, contornata dal sole nascente. L’ispettore rimase paralizzato, osservando la mano destra della ragazza che stringeva l’arma. Lentamente. Tentò di muoversi, di parlare nonostante il dolore, mentre la mano si alzava verso la testa della giovane. Lentamente. Riuscì ad emettere un suono disperato, la vista offuscata dal dolore e dalle lacrime. Si sentiva perfettamente impotente. Uno sparo. Calò un lungo, estenuante silenzio.
Arthur Wils riprese conoscenza in un letto del Central Hospital. La testa gli pulsava ed il corpo era in fiamme. Scoprì ben presto di non avere la forza necessaria nemmeno per accendere una sigaretta, ammesso che ne avesse ancora con sé. Probabilmente i medici gliel’avrebbero sequestrate. “Il fumo uccide”, avrebbero detto. Quel pensiero gli riportò in mente la ragazza dai capelli corvini. Anna. Era ancora viva? Rammentò lo sparo. Evitando di versare ulteriori lacrime, come si era proposto di fare dall’ultima volta, chiamò un infermiere chiedendo di parlare con il capitano Grey. Non era in grado di nascondere le proprie emozioni, come scoprì dal tono della sua voce, spezzata.

William Grey era un uomo robusto, non molto alto e con una passione per i sigari. Sembrava il personaggio di un film o di un libro poco riuscito. La sua passione per il fumo lo stava lentamente portando alla pensione anticipata. Da quando divenne il capitano della polizia di quella piccola cittadina, si convinse che non avrebbe mai avuto grandi problemi. Negli ultimi giorni aveva dovuto ricredersi. Disastri navali, animali feroci in periferia… ora una casa distrutta da quelli che potrebbero essere gli effetti di un uragano. E un altro cadavere. Per fortuna almeno Arthur Wils sembrava essersi ripreso. Era consapevole delle sue grandi capacità come detective. Perderlo poteva essere un vero disastro, soprattutto per il suo già vacillante posto di comando. Si pentì quasi subito di quell’eccesso di cinismo e accese uno di quei sigari italiani che aveva acquistato nel suo ultimo viaggio. Non reggevano il confronto con i suoi prediletti sigari cubani ma doveva accontentarsi. Sospirò ed aprì la porta della camera d’ospedale.
"Oh bene! Questo è il modo migliore per uccidermi, William… non osare dar fuoco a quella schifezza finché sei qui", esordì Arthur sorridendo. Impacciato come al solito, il capitano Grey rise mentre cercava di infilare il sigaro inumidito nella sua custodia.
"Come andiamo, vecchio rottame?", disse con la sua voce cavernosa. Arthur cambiò rapidamente espressione.
"Cosa è successo? Come mi avete trovato?"
"Una domanda alla volta… riguardo il cosa è successo, caro mio, speravo di saperne di più da te! A guardare la scena in cui ti abbiamo raccolto, sembrava che avessi deciso di suicidarti gettandoti nel primo uragano che ti è capitato davanti!".  Arthur divenne cupo in volto ripensando agli occhi iniettati di sangue di quella creatura imponente che lo sovrastava. Solo in quel momento fu sfiorato dal pensiero che quella creatura sembrava essere svanita nel nulla, lasciando solo distruzione al suo posto. Non si sentiva ancora pronto a parlarne con il capitano, quindi lasciò che continuasse.
"Sei stato molto fortunato, a sentire i medici. Qualcuno ha cauterizzato le tue ferite. Per quanto sia stata una maniera poco ortodossa di aiutarti, probabilmente ti ha salvato la vita", sorrise. “Questo spiega perché il mio corpo sembra in fiamme. E’ in fiamme”, si costrinse a sorridere di rimando. Ripensò alla dottoressa Cooper. Probabilmente le cure erano opera sua. E sua figlia?
"Abbiamo trovato un cadavere sulla scena". Il capitano attese qualche istante. Arthur sentì un tuffo al cuore, la testa riprese a pulsare senza sosta e gli occhi iniziarono a bruciargli.
"Chi era?", si sforzò di parlare nascondendo invano la sua tristezza.
Il capitano lo guardò attentamente per qualche secondo.
"Una donna di mezza età. Stiamo effettuando dei controlli per risalire alla sua identità. Il corpo era dilaniato e praticamente irriconoscibile. Speravo potessi…"
"E la ragazza?" lo interruppe bruscamente Arthur.
"Quale ragazza?" ribatté il capitano, che odiava essere interrotto.
"Dov’è la mia pistola?"
"Nel suo fodero, come dovrebbe essere sempre!". Il capitano divenne paonazzo a causa della sua ignoranza in quella faccenda. "Vuoi spiegarmi che diavolo è successo lì fuori una volta per tutte, Arthur?". Si alzò dalla sedia imprecando e si diresse verso la finestra, dove accese il suo torturato sigaro. 
Inalando una bella dose dell’aria fetida appestata da quell’arma di morte in miniatura, Arthur Wils raccontò cosa successe, evitando di menzionare la creatura. Attribuì il disastro al crollo delle fondamenta della casa, anche se sapeva di stare artigliando un fragile vetro. Il capitano, fortunatamente, non fece domande troppo dirette sulle piccole incongruenze del suo racconto. Probabilmente lo avrebbe torturato a riguardo in un altro momento.
"E questa ragazza chi sarebbe?" chiese il capitano.
"E’ la figlia della donna di cui avete trovato il corpo. Anna Cooper. Sono sicuro che sia ancora viva".
"Che ci faceva con la tua pistola?"
"Credo sia rimasta sconvolta per quello che è successo… e deve aver pensato che il modo più rapido per porre fine alle sue sofferenze fosse…" e mimò il gesto.
"Capisco. Quindi dobbiamo cercarla, prima che ci riprovi?".
"Non credo ci riproverà… per lei deve essere stato un duro colpo… però non ha avuto il coraggio di portare a termine la propria vita. Dubito che si ritroverà in una situazione tanto tremenda. Però è meglio cercarla. Ha bisogno di aiuto".
"Capisco". William Grey camminava a piccoli passi verso la porta mentre spegneva il sigaro.
"Cerca di riposare, Arthur. Abbiamo bisogno di te in quest’inferno". Uscì salutandolo con un cenno del capo.
Arthur salutò di rimando. La sua testa continuava a pulsare e a vagare su un’infinità di pensieri. Ricordò gli occhi vuoti della ragazza, poi quelli della creatura. Il rumore sordo della pistola che inondava il silenzio del mattino. Il sapore delle proprie lacrime miste alla sabbia. Pensò a queste e a tante altre cose, anche se la sua mente chiedeva altro riposo. Giunsero ad un tacito compromesso, confinando tutti i pensieri nel mondo dei sogni.

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