domenica 18 aprile 2010

Frammenti di Memoria - Intermezzo

Ridono.
Mi guardano, le loro labbra si increspano leggermente, si assottigliano, disegnano una mezzaluna su volti assenti, un'opera d'arte su tela scadente. 
Ridono. 
Il loro corpo sembra lasciarsi andare ad uno spasmo sommesso, un tremore incontrollato, un preludio di morte.

Vedo anime decadenti, corpi che si sfiorano appena: troppa pudicizia per lasciarsi andare, troppa poca consapevolezza per evitare il contatto. Ridono in un'estasi orgiastica cui non sanno nemmeno di appartenere, figure indistinte che macchiano un mondo perfetto.
Ridono di me, ridono per me, ridono con me. Li guardo e rido a mia volta. Rido della loro ingenuità, del loro squallido sarcasmo. Ridono sempre quando non comprendono, quando la realtà supera la loro immaginazione e credono di essere attori in un teatro. Ridono, perché in fondo sono consapevoli che le sole cose vive altrimenti sarebbero l'angoscia, il dolore e la morte. 
Credono sia un trucco, ad iniziare dal mio volto. Credono sia solamente un'ombra quella sulle mie labbra, un maldestro disegno scarlatto. Credono sia spettacolare, lo definiscono "avant-garde".
Ridono, perché in loro l'orrore suscita divertimento. L'uomo è un animale curioso, riesce sempre a confondere ciò che è reale e ciò che desidera. L'uomo guarda di fronte a sé e vede gioia e felicità nascoste nel dolore e nella sofferenza del prossimo. L'uomo vive di ansia, depressione, morte. L'uomo non conosce il significato dell'amore, è convinto di sapere cosa sia e si lascia andare alla passione, al desiderio. L'uomo si accontenta di comprendere le cose in maniera superficiale, di capirne il senso e lo scopo. Non si interroga sul proprio ruolo, sul perché sia così necessario vivere e morire per un mondo che si dimenticherà di lui, lasciando che il caos gli riempia il cuore e lasci solo dubbi, come erba secca, che attendono lacrime di sangue elargite da un cuore ferito.
Il sangue è vita. Viviamo finché esso scorre nelle nostre vene, finché il suo colore sgargiante non crolla e diviene nero. Mi nutro di sangue, perché mi ricorda cosa significhi per me la vita, ogni volta che lo sento scorrere, schizzare contro il mio palato e lentamente riempirmi la gola, fino a farmi sentire soffocare. Quel calore intenso, avvolgente, che sazia l'anima.
Gli sguardi degli uomini sono vuoti, evidenziano l'oscurità che alberga nei loro cuori. Mi danno vigore, mi fanno desiderare che l'orrore non abbia mai fine, mi fanno gustare il giorno in cui ognuno di loro diverrà solo una maschera, un trofeo con cui gingillarsi. Guardo nel vuoto e vedo quella luce nera, l'odio che si nasconde nei recessi di quei cuori impuri, marci. Posso sentire il fetore del loro sangue, l'olezzo della loro pelle e l'impulso irrefrenabile di porre fine a tanto scempio, di graziare questo mondo ponendo fine alla loro esistenza. 

Lui è lì, tra la folla, come gli avevo detto. Mi guarda impassibile, intensamente. Impara. Guarda cosa lo circonda e cosa sta accadendo, senza dubitare di ciò che lo circonda. Sa che non c'è nulla di prestabilito, nulla per cui valga la pena di fare domande. Solo un bambino ha tanta consapevolezza, tanto desiderio di capire ciò che gli adulti ignorano. Mi guarda e, come sempre, il mio sguardo rimane rapito da quella bellezza, da quella vita fragile e al contempo forte, sfrontata nei confronti della morte. Il suo sguardo accresce la mia stanchezza, il mio desiderio di dormire per l'eternità a venire. Mi rende impotente, priva di sete. La vita è sempre stata e sempre sarà superiore ad ogni cosa, eppure viene donata a creature che non la meritano. La vita è delicata, un dono prezioso, un diamante grezzo. Va raffinata, depurata, tagliata saggiamente e poi può brillare al punto da schernire l'oblio, far tremare l'ade e far inginocchiare la morte stessa, privandola di ogni forza. Le mie braccia tremano, la mia mente vacilla.

Lascio cadere il mio fardello, e la folla giubila fragorosamente.

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