sabato 23 gennaio 2010

Frammenti di Memoria - Parte II

Un’ondata di luce e calore la colpì in pieno volto, quasi fosse avvolta tra le fiamme. Un tocco gelido le serrò il polso. Cercò di divincolarsi, ma la presa era salda e lei senza forze. Non riuscì a trattenere le lacrime. Si sentiva impotente. Cercava inutilmente di opporre resistenza. Ironia della sorte, desiderò tornare in quella stanza che le era diventata quasi familiare. Inciampò più volte sulle scale. Le gambe le dolevano. I corridoi di pietra erano vuoti ed immersi nell’oscurità, l’unica fonte di luce era la torcia che l’uomo aveva nell’altra mano. Quando si fermarono, cercò di guardarlo in volto, ma non fece in tempo. Una porta si aprì e lei fu spinta nella stanza con una forza tale da farla cadere. Rimase immobile per un istante, assaporando il calore metallico del suo sangue. Una mano le sfiorò la testa. In uno scatto di rabbia e disperazione, ricorrendo a tutte le forze che le erano rimaste, si spinse in avanti ed afferrò il collo della figura che le era vicina.


Una donna di mezza età, con i capelli arruffati raccolti in un nastro bianco la guardò terrorizzata. Toccava il terreno con la punta dei piedi ed implorava pietà con lo sguardo. Allentò lentamente la presa. La donna riprese fiato e si voltò verso di lei con un sorriso spento. Nell’aria c’era un profumo di lavanda. La stanza in cui si trovava adesso era molto piccola e di forma rettangolare. In un angolo c’era una tinozza piena d’acqua fumante. La donna le prese la mano dolcemente e le indicò la tinozza. Forse si era sbagliata. Quel luogo non le sembrava più tanto orribile. Ma non accettò il modo in cui le cose erano andate. Desiderò affogare tutti i dolori e gli spaventi in quell’acqua, ma, in fondo, se era ridotta in quello stato era proprio a causa di chi l’aveva portata in quel luogo. Con un gesto rapido si liberò dalla donna, che tornò a guardarla con un’espressione compassionevole. Non riusciva a sopportarlo. Fece una smorfia e si diresse verso la porta. Dietro di lei, sentì la donna singhiozzare. Si voltò e la vide in ginocchio dietro di lei. La ragazza le si avvicinò, la prese per mano e, con un sorriso, aprì la porta. Un’ombra che avrebbe definito immensa scivolò rapidamente su di lei. Non riuscì nemmeno a proteggersi.


Riaprì gli occhi all’improvviso, lasciandosi sfuggire un grido. La testa le faceva male. Si sentiva ancora stordita. Adesso si trovava in un letto, con lenzuola pulite e profumate. Con grande sforzo, si costrinse a mettersi seduta. Non aveva più abiti laceri ma una lunga vestaglia bianca. La lunga chioma nera le incorniciava il volto. Tutto le sembrava stranamente innaturale.


Si alzò lentamente dal letto ed esplorò la stanza con gli occhi. Si avvicinò ad una finestra, ma restò delusa nello scoprire che dava su un cortile, non riuscì a stabilire dov’era, complice la fievole luce della luna. In preda alla frustrazione fece a brandelli le lenzuola e il letto stesso, spargendone il contenuto in tutta la stanza. Non era certo il comportamento che si addice ad una donna, ma in quel momento le sembrò l’unica cosa da fare. Pochi minuti dopo, ritrovata la calma, cercò qualcosa di utile nei mobili della stanza.


Trovò solo dei vestiti, tutti simili tra loro. Scoprì che si adattavano perfettamente al suo corpo. Indossò un vestito nero, molto più comodo della vestaglia, e si avvicinò alla porta. Con un po’ di stupore si rese conto che era aperta. Memore dell’ultima esperienza, osservò attentamente il corridoio. Quando si rese conto di essere sola, iniziò a correre a perdifiato. Non sapeva dove stava andando, né se sarebbe riuscita ad uscire da quel posto. Curiosamente pensò alla donna che aveva incontrato in quello che doveva essere un bagno. La testa le pulsava, un dolore lancinante le percorreva tutto il corpo, aveva l’impressione di stare per esplodere da un momento all’altro.


Nella sua corsa trovò delle scale di pietra ed iniziò a scendere, nella speranza che la conducessero all’uscita. Nella fretta rischiò di cadere ed urtò contro la parete. Continuò a correre, iniziando ad ansimare e rallentando l’andatura. Altre scale. Una flebile luce. Si ritrovò in una stanza molto ampia, un lampadario incombeva sulla sua testa, la sua luce illuminava la stanza. Un portone. Appena fuori, il cortile. Le lacrime iniziarono a scorrere nuovamente, ma si costrinse a fermarle. Era giunta alla fine del suo incubo. Sentì un rumore dietro di sé ma si costrinse a non fermarsi. Ormai era fuori. Poteva tornare a casa. Continuò a correre, sentiva il proprio respiro martellare nella testa, la vista che si annebbiava.


Provò un dolore troppo grande. Cadde a terra, riuscendo a malapena a rimanere cosciente. La gamba le doleva. Si voltò e vide una sagoma scura, zanne scintillanti macchiate di rosso. Cercò di combattere con quell’essere, ma non impiegò molto tempo a rendersi conto di non avere più nemmeno la forza di alzare un braccio. “Beh… almeno sei arrivata fin qui, Anna. Non devi avere rimpianti”. Con un sorriso, chiuse gli occhi e l’oscurità piombò su di lei.

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