martedì 27 aprile 2010

L'Anima della Terra - parte I (Le storie Infinite - parte I e II)

La luna faceva capolino nella stanza della ragazza, inondandola di una flebile luce. Anna era come ipnotizzata dal cielo notturno, scrutava gli astri cercando di ricordarne i nomi. La sua casa era abbastanza distante dalle luci della città da permetterle di dedicarsi alla propria passione senza essere disturbata.
Con una mano si ravvivò i lunghi capelli corvini e richiuse la finestra della propria stanza. Le notti erano sempre più fredde. L’estate giungeva ormai al termine. Non avrebbe più avuto la possibilità di passare delle notti insonni come quella. Probabilmente già l’indomani avrebbe dovuto iniziare a fare i preparativi per il trasferimento imminente. Non era ancora completamente convinta di stare intraprendendo la strada giusta. Continuava a ripetersi che avrebbe iniziato una vita certamente più affascinante di quella che poteva offrirle la piccola città sul mare in cui viveva. Ora che anche gli ultimi turisti erano in fase di partenza, sarebbe tornata ad essere una città noiosa e senza pretese. Era una realtà che Anna non riusciva ad accettare. Probabilmente trasferirsi non sarebbe stata una cattiva idea. Doveva essere così.
Incapace di addormentarsi, decise di passare l’ultima ora di cielo notturno che le rimaneva. Camminò pensierosa e quasi inconsapevole di quanto faceva, uscì di casa e si diresse verso il mare.
La luce della luna illuminava il suo cammino, la sabbia fredda era piacevole. Il fragore delle onde era l’unico suono che riempiva quella notte. Lentamente si diresse verso la scogliera, simile alla punta di una freccia che finiva direttamente in acqua. Era una delle cose che non avrebbe voluto abbandonare. Le onde s’infrangevano a ritmo regolare sugli scogli di fronte a lei. Scelse la roccia più comoda per osservare il cielo notturno e vi si distese. Immersa nei pensieri e nei ricordi legati al suo passato, udì a malapena il suono che proveniva dal mare. Era un suono ritmico, ripetuto, basso al punto di essere completamente sovrastato dal rumore delle onde. Senza distogliere lo sguardo dal cielo, Anna cercò di identificare quel rumore. Poteva trattarsi di un oggetto abbandonato durante il giorno che era rimasto incastrato tra gli scogli durante l’alta marea.
Tuttavia, era troppo distante per essere qualcosa di simile. Il suono proveniva da molto più lontano, in un punto non ben decifrato. Guardò il mare, pensando di scorgere qualche barca in lontananza che potesse generare quel suono, ma vide solo un’immensa distesa d’acqua e nessun segno di umanità. Si sporse il più possibile per guardare lontano, ma nulla attirò la sua attenzione.
Il suono diventava sempre più alto. Impaurita, si incamminò verso casa. Continuava a non vedere nulla intorno a sé.
Il suono cambiò lentamente in una litania, poi qualcosa di molto simile ad un canto. Anna notò il cambiamento quando ormai si sentiva al sicuro nella propria stanza. Non riusciva a capire cosa accadesse, ma il mare le faceva paura. Il cielo limpido le dava sicurezza, ma non se la sentiva di andare a controllare chi o cosa le giocava quel brutto scherzo. Tentò di convincersi che si trattava del vento, ma in cuor suo era consapevole che non si trattava di questo. Il canto divenne sempre più limpido e cristallino, era indubbiamente una voce femminile.
La ragazza guardò dalla finestra, cercando di cogliere l’origine di quel canto. Era ancora impaurita, ma la curiosità era altissima e lei ora si sentiva al sicuro.
Una figura sottile, alta e ricoperta di brandelli neri camminava dondolando verso di lei. Anna era terrorizzata.  La donna si avvicinava molto lentamente. Non sembrava averla notata. Lunghi capelli neri le incorniciavano il volto, appiattiti dal peso dell’acqua marina. Continuava a cantare una melodia malinconica, guardando il cielo sopra di sé a braccia aperte. Si inginocchiò e si accasciò al suolo. Anna era pietrificata. Ci mise un tempo che le parve infinito per riprendersi. Cercò in fretta il suo telefono cellulare e chiamò un’ambulanza. Non attese la risposta. La donna era sparita. Non udiva più nulla.
Probabilmente si era immaginata tutto. La notte a volte gioca brutti scherzi. Il mare era diventato di nuovo calmo ed il sole iniziava ad illuminare un nuovo giorno. Non riusciva a scorgere alcuna traccia della figura che l’aveva fatta impaurire. Le parve di intravedere una stella cadente quando si decise ad andare a dormire. La cosa la faceva sentire più serena. Piccoli rumori di vita quotidiana venivano dalla stanza dei suoi genitori, segno che qualcuno mattiniero si stava svegliando. Sentendosi protetta, lentamente chiuse gli occhi fino ad addormentarsi.

Quando Anna riaprì gli occhi, il sole era già alto nel cielo. La cosa non le piaceva. Avrebbe voluto vivere in una maniera che molti definirebbero “normale”. Inoltre, aveva ancora molte cose da sistemare entro la fine della giornata. Non poté fare a meno, rialzandosi, di guardare attraverso la finestra cui erano legati i ricordi poco rassicuranti della notte precedente. La spiaggia era colma di turisti. Tutti sembravano allegri e spensierati e, a quella visione, Anna si convinse di avere soltanto lavorato di fantasia.
Si guardò intorno constatando il disordine in cui aveva lasciato la stanza la sera prima, facendo una smorfia. Un’occhiata fugace allo specchio le ricordò che aveva bisogno di curare maggiormente il suo aspetto. Si promise di pensarci qualora ne avesse avuto il tempo. Si lavò e si vestì rapidamente. Era da sola in casa, i suoi genitori dovevano essere ancora al lavoro. Aveva un po’ di tempo a disposizione prima che sua madre rincasasse e decise di utilizzarlo per preparare il pranzo e riordinare la propria camera. Il primo dei due compiti non fu difficile quanto il secondo. La stanza era un disastro. C’erano abiti ovunque, le carte per il trasferimento mescolate con le ultime lettere ricevute dalla sua amica d’infanzia ormai lontana e le fotografie scattate l’estate precedente. Le riguardava spesso con un po’ di malinconia.
La porta di casa si aprì improvvisamente. Catherina era tornata a casa. Anna ebbe un momento di sconforto pensando all’arrivo della madre. Aveva ancora tantissime cose da sistemare e sempre meno tempo per farle. Nella speranza di ottenere un minimo di comprensione e magari un piccolo aiuto dalla madre, Anna le andò incontro, sporgendo la testa oltre l’uscio della cucina. Catherina era la donna più bella che avesse mai visto. Nonostante la sua età, era sempre impeccabile in tutto quello che faceva. Oggi sembrava avere molta fretta.
"Va tutto bene, mamma?" chiese a voce bassa.
Catherina trasalì. Anna fece il possibile per evitare di sorridere notando come la madre cercava di continuare ad apparire composta e tranquilla davanti alla figlia quando era evidente che il suo cuore batteva con la velocità di un treno in corsa.
"Va tutto bene, Anna". Sorrise. "Oggi abbiamo avuto molto da fare in clinica. C’è stato un incidente stanotte, sembra che un peschereccio sia affondato non molto lontano da qui".
Fece una breve pausa e aggiunse: "probabilmente dovrò tornare lì nel pomeriggio". Guardò la figlia come se attendesse da lei una risposta.
Anna non riuscì a trattenere una lieve smorfia, ma si costrinse a sorridere e disse: "spero solo che non sia una cosa tanto grave quanto la stai dipingendo".
Catherina sorrise a sua volta e posò una pesante busta sul tavolo.
"Aiutami a mettere a posto la spesa".
Anna annuì.
"Ti sei appena svegliata?" chiese la madre con un pizzico di irritazione nella voce.
La ragazza arrossì e farfugliò qualcosa riguardo al caldo eccessivo.
"Dovresti cercare di regolarti, Anna" puntualizzò lei, e aggiunse: "ti lasci andare troppo facilmente, dovresti essere più…".
"Responsabile?" sbottò la ragazza. Stringeva tra le mani una confezione di cereali che sembrava sul punto di esplodere. Respirò profondamente e finì con un secco "ne abbiamo già parlato". Mise a posto il resto della spesa senza dire una sola parola e tornò di corsa in camera sua.
Era distesa sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto, quando Catherina la avvisò che stava per uscire. Ancora furibonda, Anna non rispose alla madre e si limitò a spostare lo sguardo dal soffitto alla finestra. Il cielo era terso e privo di nuvole. Il caldo era moderato e i rumori di onde e turisti giungevano soffocati e lontani. Anna rabbrividì ripensando alla visione della notte passata ed a quella voce così nitida. Non riusciva a ricordare le parole pronunciate da quella donna, ammesso che fosse tale. Ricordava soltanto la melodia, il tono straziante e sensuale allo stesso tempo. La sentì chiaramente nella sua testa, come se quella figura femminile fosse ancora lì, a pochi metri da lei.
Si costrinse ad abbandonare quelle fantasie. Erano solo il frutto della sua immaginazione mista alla paura di qualcosa che non capiva. “Per fortuna”, pensò, “ho ancora ben mezza stanza da risistemare”. Fece un profondo respiro e si mise a sedere sul letto. Asciugò una lacrima che riassumeva la sua incapacità di prendere di petto la vita e si alzò di scatto. Non ripensò più né alla notte precedente né alla solita discussione avuta con la madre.

Le viscere della terra fremevano. Il mondo intero sembrava pulsare. Qualcosa stava cambiando. Dalle tenebre delle profondità marine iniziavano ad emergere suoni che l’umanità non aveva mai avuto modo di ascoltare. Gli strumenti di rilevamento classificavano i suoni anomali come disturbi di poco conto. In fondo, durarono per un tempo troppo breve affinché fosse dato loro una qualche importanza.

Molti dei pazienti della clinica quel giorno erano già stati catalogati come deceduti. Per tutti era giunta la morte cerebrale. I pochi sopravvissuti presentavano ferite molto profonde in più parti del corpo. Era difficile stabilirne la causa. Di recente erano stati avvistati degli squali. Si trattava di gruppi isolati e molto ridotti, ma non era da escludere che fossero stati attirati dall’odore del sangue dei pesci in seguito all’anomalia che aveva causato il rovesciamento del peschereccio. Il quadro completo della situazione non riusciva a convincere i medici. Anche l’ispettore Wils era dello stesso parere. Non era necessario un medico per stabilire la differenza tra il morso di uno squalo e le ferite presentate dai superstiti. Gli agenti della scientifica avevano prelevato scaglie metalliche da alcuni corpi. L’idea di uno scontro a fuoco o tramite armi bianche era molto più plausibile. Nessun arto reciso, nessun tentativo reale di uccidere quei poveri pescatori. Sembrava piuttosto che fossero stati lasciati agonizzanti in mezzo all’oceano nell’attesa di una morte lenta e dolorosa. Dalle indagini preliminari risultava che nessuno di loro aveva nemici in grado di ordire una strage simile.
L’ispettore detestava questa condizione di impotenza. Doveva attendere i risultati dell’autopsia e quelli della scientifica per riuscire a formulare qualche ipotesi.
Detestava attendere.
Decise di fare un sopralluogo al porto, dove era stato portato il peschereccio nell’attesa dei controlli. L’aria era secca ma la temperatura non molto elevata. Arthur Wils detestava il mare. Ancora si chiedeva per quale motivo non si fosse trasferito in una città più grande. In fondo doveva ammettere che una città piccola ha i suoi vantaggi. Queste città sono solitamente molto tranquille. E' difficile sentire di qualche aggressione o rapina, anche se sembrava che la sua quiete era destinata ad interrompersi a breve. Lo aveva dedotto guardando lo stato in cui era ridotto il peschereccio. Inspirò profondamente, ma i suoi polmoni gli ricordarono che lui non era abituato all’aria pulita di quel posto. Due rapidi colpi di tosse secca ed accese una sigaretta. Si sentì sollevato quando il fumo caldo gli bruciò i polmoni. Sapeva di stare solo peggiorando le cose, ma il sollievo che traeva da quel gesto così comune lo rendeva più tranquillo.
Lo scafo dell’imbarcazione era stato letteralmente sventrato, come se il capitano della nave avesse deciso volutamente di infrangersi contro una scogliera. O un iceberg. Il pensiero gli strappò un lieve sorriso. Tutta la situazione aveva del ridicolo. Corpi dilaniati, nessun ferito lieve, una nave completamente distrutta. Non escluse la pista di un attacco terroristico o militare, ma le condizioni dei feriti lasciavano aperta qualunque ipotesi.
Da quanto era riuscito a sapere, il mare durante la notte era stato calmo, nessuna tempesta, uragano o catastrofe naturale che avrebbe potuto giustificare il fatto. Il relitto della nave era stato ritrovato a ridosso di una scogliera poco distante dalla costa, il che poteva confermare le sue deduzioni riguardo al danneggiamento dello scafo. Forse si stava sbagliando e la causa di tutto era un marinaio che aveva alzato un po’ troppo il gomito la notte prima. Questo non avrebbe potuto affermarlo con certezza senza aver ascoltato un testimone. Decise che avrebbe scoperto quale fosse la causa delle ferite dei superstiti prima di trarre conclusioni affrettate. Spense la sigaretta e tornò alla macchina. Ripensò alle prove che aveva riguardo questo caso e arricciò il naso. Sorrise suo malgrado pensando di essere ancora in alto mare.

Il mondo intorno alla creatura continuava a deformarsi e contorcersi. La terra pulsava come se fossero in simbiosi. Qualcosa entrò nel suo campo visivo e lei si costrinse a nascondersi, nonostante il suo istinto le dicesse di comportarsi diversamente. Era ancora troppo debole. Non era abituata ad un simile cambiamento, troppo improvviso e radicale per essere sopportato. Aveva rischiato troppo la notte precedente. Avrebbe dovuto adattarsi prima di esporsi tanto. Non intendeva ripetere nuovamente lo stesso errore. Avrebbe atteso che i tempi fossero maturi e avrebbe portato a termine la sua missione. Sapeva di non avere molto tempo a disposizione. Qualcuno doveva essere già sulle sue tracce. Decise di aspettare ancora qualche ora, il tempo necessario per adattarsi a quel mondo, prima di iniziare la caccia.

2 commenti:

  1. Non so perché blogger interpreta un "<<" e un ">>" come dei tag particolari che conosce solo lui e non mi da la possibilità di usare questi simboli per i dialoghi... quindi ho dovuto usare gli apici, il che rende tutto più pesante da leggere... misteri della rete!

    RispondiElimina
  2. Perché gli uncini sono utilizzati per il codice html, ad esempio < b > testo < / b > (senza spazi) è quello per il grassetto. Per questo molti siti cancellano dal risultato finale il testo contenuto tra di essi. Però se utilizzi i simboli speciali presi da word « e » non dovresti avere problemi ^^

    RispondiElimina