Anna si sentiva completamente fuori luogo. La camera d’ospedale in cui si trovava adesso era diversa da quella cui era abituata. C’era una macchina da scrivere, fogli e fascicoli sparsi praticamente ovunque. L’uomo che la guardava sbigottito era solo. Non c’erano altri pazienti, la camera era molto più piccola rispetto alla sua. Notò però che dalla finestra si intravedeva il mare, per quanto fosse solo un riflesso distante. Ripensò agli ultimi giorni dell’estate, agli amici e alle nottate trascorse sulla spiaggia. Le tornarono in mente i momenti felici legati alla sua casa, alla sua famiglia e a tutto il suo piccolo, immenso mondo, in cui amava sprofondare nei momenti più tristi della sua vita. Come quello che stava vivendo ora. Soprappensiero, si avvicinò alla finestra e, osservando il sole che moriva in lontananza, ricordò dove aveva visto quell’uomo, che i medici le avevano indicato essere un investigatore. Si voltò di scatto ed i suoi occhi incrociarono quelli di Arthur. La sua espressione non era cambiata, un misto tra felicità e stupore. Anna non seppe come interpretare quello sguardo. Le parve di guardare negli occhi suo padre, nei suoi rari momenti di felicità. Fu scossa da un brivido, ma lo nascose attentamente all’uomo. Non voleva mostrarsi debole nei suoi confronti. Si schiarì la voce e prese la parola.
"I medici mi hanno detto che volevate parlarmi…", disse, con un tono di voce volutamente basso.
"E’ così infatti.", ribatté Arthur, mantenendo a sua volta un tono di voce calmo e deciso.
"Dunque, eccomi qui!", sorrise lei. Era ancora scossa dall’incontro con suo padre la notte precedente, ma aveva paura di essere giudicata pazza da quell’uomo. E la cosa la turbava.
Arthur sorrise a sua volta e riprese a parlare:
"Probabilmente avrai pensato che volessero farti delle domande su quanto accaduto quando ci siamo incontrati…". Fece una breve pausa, cercando di carpire le sensazioni della ragazza. Lei annuì quasi inconsciamente. "Non è così". Arthur spostò lo sguardo dai profondi occhi castani della ragazza per guardare il tramonto dalla finestra. "Ti sembrerà strano, ma volevo solo sapere come stai". La sua voce assunse un tono più malinconico.
Anna rimase sorpresa, pensò in un primo momento che quella fosse solo una normale procedura di routine per spezzare la tensione che poteva esserci tra loro. Dovette però ammettere di trovarsi già perfettamente a proprio agio, e l’espressione dell’uomo le trasmise la stessa certezza. Voleva davvero sapere solo questo. Anna arrossì lievemente, si sentiva colpevole di quello che aveva pensato. Rispose frettolosamente, sperando che lui non notasse il suo imbarazzo.
"Sto bene. I medici dicono che sarò libera di tornare a casa domani". “Ma tu non hai più una casa, Anna”, pensò lei. Si sentì stupida per quello che aveva appena detto.
"Bene, ne sono lieto". Arthur si sentì più rilassato, posò i fogli che stava leggendo sul comodino a fianco al letto e riprese a parlare. "Probabilmente nei prossimi giorni molti dei miei colleghi ti riempiranno di domande riguardo quello che è successo. Sono sicuro che tu sia giunta alla mia stessa conclusione, cioè che nessuno crederà mai alla verità". Fece una pausa. "Io stesso ho mentito al capitano, dicendo che la casa sembra essere crollata sulle sue fondamenta… una cosa poco credibile, ma non sono riuscito a trovare niente di meglio… semmai dovessero chiedertelo, conferma questa teoria, eviterai molti problemi in questo modo". Arthur sorrise lievemente. "Per il resto, quando lo vorrai, puoi parlare sempre con me liberamente di quanto è accaduto. No, nessuno dei due è impazzito. Le mie ferite ne sono la prova evidente". Anna guardò per la prima volta le condizioni dell’uomo. Oltre a quelle che lei aveva provveduto a cauterizzare, come le aveva insegnato sua madre, sembrava che l’uomo avesse qualche costola rotta. Anna guardò istintivamente il suo corpo. Completamente intatto. Solo un paio di graffi ed un cerotto. Si sentì in colpa, ma non ebbe modo di soffermarsi su questo poiché l’uomo stava parlando nuovamente.
"Ho saputo che hai incontrato tuo padre. Sono felice di sapere che hai qualcuno in questo momento". Sorrise. I loro sguardi si incrociarono nuovamente. Anna avrebbe voluto ribattere, facendogli notare come suo padre non avesse alcuna intenzione di aiutarla, come l’unica sua preoccupazione era di mandare sua figlia all’estero in modo da togliersela dalle scatole. Ma sentiva che tali affermazioni avrebbero causato ulteriore tristezza nell’uomo che aveva di fronte.
"Certo, è una grande fortuna", disse lei. Arthur colse un sottile velo di ironia in quella frase, ma lasciò correre. Prese uno dei fogli di carta bianchi che aveva sulla scrivania, impugnò la penna e scrisse qualcosa. Strappò il foglio e lo porse alla ragazza.
"Nel caso tu abbia bisogno anche solo di parlare un po’…". Anna era confusa, prese il pezzo di carta e lesse: “Arthur Wils. Allora è questo il suo nome”. Guardò di nuovo l’uomo e sorrise. "E’ bello sapere di non essere completamente impazzita… non ancora, almeno. Ho molte cose da chiedere riguardo l’altra notte… ma non me la sento di farlo ora… mi dispiace".
Arthur sorrise a sua volta. "Non preoccuparti di quanto è successo… scoprirò cosa è accaduto realmente, non permetterò che accada nuovamente qualcosa di simile…". Il suo sguardo si spostò verso la pistola, chiusa accuratamente nel suo fodero. Anna lo seguì con lo sguardo e trasalì, ripensando al tocco freddo dell’arma, al dolore che provava, alla follia che premeva contro le fragili mura della sua mente. Si voltò di scatto.
"Adesso sarà meglio che vada", disse frettolosamente. Arthur la guardò, come se cercasse di leggerle nella mente.
"E’ tardi, un po’ di sonno non farà male… ad entrambi". La ragazza intanto era già arrivata alla porta. Quando la aprì fu pervasa da un incessante senso di colpa. Si voltò indietro. Arthur sembrava piccolo e indifeso in quel letto. Ricordava come avesse cercato di proteggerla, mettendo a rischio la propria vita. Lo guardò per qualche secondo.
"Grazie". Sorrise. Non riusciva a dire altro. Lasciò che la porta si chiudesse dietro di lei e si incamminò lentamente verso la sua stanza.
Arthur guardò la porta chiudersi e si domandò cosa avrebbe fatto la ragazza adesso. Probabilmente l’avrebbe rivista solo in seguito a sviluppi nell’indagine che potessero interessarle, ma era rimasto sollevato dal vederla in salute. Il vuoto dei suoi occhi era sparito, ora sostituito da una, seppur flebile, speranza. Era tutto ciò che Arthur avesse mai sperato di trovare in lei in questo incontro. Riprese i suoi fascicoli, tornò ad analizzare i rapporti per trovare qualche punto in comune, qualche indizio per iniziare le proprie ricerche.
Anna rientrò nella propria stanza, facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare gli altri pazienti. Si infilò nel letto e guardò la notte buia sopra di lei. Ripose il pezzo di carta che le aveva dato l’uomo in un cassetto e ripensò, suo malgrado, a quando si era resa conto di aver perso l’unica cosa veramente importante di tutta la sua vita. Pianse. Silenziosamente, consapevole di non poter tornare più indietro. Consapevole di dover accettare quanto accaduto. Consapevole, adesso, di essere completamente sola al mondo.
Nessuno dei due dormì quella notte, entrambi trascinati nel vortice delle rispettive sensazioni. La notte era più calda del solito, il cielo terso faceva presagire un sole caldo anche per il giorno successivo. Anna vide una stella cadente, ma non riuscì a pensare ad un desiderio realizzabile. Aveva in mente solo sua madre. Si rannicchiò su se stessa, come se cercasse di mantenere stretto a sé il suo corpo, come se avesse paura che potesse sfuggirle anche quello. Non vide l’astro, nero come la notte, cadere in mare aperto. Non sentì il rumore emesso dall’impatto, troppo distante.
La creatura aprì gli occhi. Erano neri, come la notte in cui aveva deciso di giungere su quella parte della Terra. Il suo corpo era ferito, bruciato e danneggiato in più punti. Sentiva il mondo pulsare intorno a lei, un’appendice indesiderata. Avrebbe avuto bisogno di qualche giorno per riprendere piena funzionalità. Avrebbe quindi avuto solo poche ore per portare a termine la sua missione. Non poteva fallire. Non era stupida, aveva a disposizione più del tempo necessario a preparare una trappola per catturare la sua preda. Sogghignando, le sue fauci aguzze come coltelli scintillarono nell’oscurità delle profondità marine in cui si trovava. L’eccessiva foga generata dal suo desiderio di portare a termine la propria missione fece sussultare la Terra stessa.
L’alba. La Terra compiva ancora una volta il suo ciclo millenario. Il sole illuminava la stanza in cui si trovava Anna. Non era riuscita a chiudere occhio durante la notte precedente. Poiché si rendeva conto di non riuscire a dormire, aveva deciso di prepararsi per lasciare l’ospedale il giorno stesso. Suo padre le aveva lasciato del denaro, tra i suoi effetti personali. Probabilmente ora si trovava in volo da qualche parte. Ripensando a lui, Anna si pentì di essersi comportata in una maniera così fredda. In fondo, suo padre aveva sempre dimostrato quel modo di reagire di fronte alle avversità. Era sempre stato l’unico della famiglia ad avere i piedi ben piantati a terra, ma questo non significava che non soffriva. Probabilmente nella situazione attuale le sue ferite erano ben più profonde e radicate. Si ripromise di chiamarlo, una volta trovata una sistemazione. Raccattò in fretta la piccola borsa con i vestiti che era riuscita a recuperare ed il resto dei suoi effetti personali. Il cannocchiale in miniatura che le era stato regalato dalla sua migliore amica, il portachiavi cui erano ancora attaccate delle chiavi ormai inutili e… Anna guardò attentamente la pietra nera sul fondo della scatola. L’aveva già vista da qualche parte, ma non riuscì a ricordare dove. Era nera come l’ebano, aveva degli splendidi riflessi violacei lungo la superficie ben levigata. Di sicuro si trattava di una pietra levigata, data la sua forma. Era un decaedro con tutte le estremità molto appuntite. Anna rigirò più volte la pietra tra le sue dita, domandandosi da dove fosse arrivata. Sembrava essere preziosa, ma non ci avrebbe giurato. Non ricordava di averla mai vista prima, ma le sembrava familiare al contempo. Lasciando un sottile strato di nebbia tra i suoi pensieri, Anna infilò rapidamente l’oggetto in una tasca e se ne dimenticò.
Alle 4:05 di oggi 27 Agosto si è verificata una forte scossa di terremoto che ha colpito la zona costiera del Paese. La magnitudo dell’evento è stata stimata pari a 6.5 Richter, un valore che comporta effetti fino all’VIII grado della scala Mercalli. L’epicentro è stato identificato ad una distanza di circa 200 km dal punto più vicino. La scossa è stata seguita da brevi repliche, la più forte delle quali è avvenuta alle 6:21 ed ha avuto magnitudo 3.9.
“Strano non aver sentito nulla qui”, pensò Arthur, spegnendo la radio. Disastri navali, mostri, terremoti… che la fine del mondo fosse vicina? Sembrava non esserci pace in quella piccola città negli ultimi giorni. Chissà a questo punto in che condizioni si trovava New York… o Roma… che le grandi città fossero già ridotte in cenere?
Sforzandosi di sorridere, mise da parte i suoi appunti ed iniziò a massaggiarsi le tempie, cosa che lo aiutava a riflettere. Certo, con un buon sigaro sarebbe stato tutto molto più facile.
Incidente marittimo, avvenuto poco più di una settimana fa. 15 morti, numero imprecisato di feriti. Morti a causa di un arresto cardiaco, successivamente dilaniati, come da artigli. Ritrovati frammenti metallici sui loro corpi, le analisi non avevano ancora dato risultati sulle leghe di cui tale metallo era composto, quindi non si poteva essere certi di cosa fosse realmente. Probabilmente frammenti dello scafo generati dall’esplosione. Esplosione di cui, però, non vi erano tracce evidenti. Sembrava piuttosto che qualcosa fosse entrato in collisione direttamente con la barca, trapassandola da parte a parte. Come se una lancia l’avesse trapassata. “Ma non sono state trovate tracce di lance in fondo al mare, Arthur…”, si disse ironico. I danni dello scafo facevano presupporre che le cause della caduta del ponte e dello scafo fossero coincidenti. Meglio così, un pensiero in meno. Si fermò a riflettere su ciò che aveva.
“Cosa può far morire 15 persone sul colpo, ferirne il doppio, abbattere una nave e non lasciare tracce?”. Istintivamente Arthur ripensò alla Creatura che voleva così ardentemente le sue costole. “Eppure di donne il mondo è pieno…”. Sicuramente c’era un legame tra le due cose, ma gli sfuggiva. Avrebbe compreso se le morti per infarto fossero una o due. Quella Creatura era brutta, d’accordo. Ma non al punto da far morire chiunque la vedesse. Guardò la pila interminabile di documenti piegata minacciosamente su di lui. “Forse è vero che l’inferno è generato dalle nostre più profonde paure… se è così allora sono morto anch’io…”. Almeno in quest’inferno la ragazza era salva. La Creatura sembrava essere interessata proprio a lei. Non le aveva fatto neanche un graffio. Forse il suo scopo era di rapirla, portarla in qualche altro luogo… e poi? Dov’era finita? Cercò di sforzarsi, di ricordare qualche dettaglio in più, ma le sue condizioni nel momento in cui la creatura spariva lo avevano completamente isolato dal mondo. Ricordò solo un fascio di luce, intenso. Nient’altro. Luce bianca, molto forte.
Riprese a sfogliare i fascicoli accumulati tutto intorno a lui. John Cooper. Pilota dell’Aviazione Militare. Interessante. Magari lui avrebbe potuto avere accesso a maggiori dettagli sulla faccenda. Era ora di fare due chiacchiere con il padre di Anna.
Arthur Guardò istintivamente le fasciature su tutto il suo corpo.
Beh, magari tra un paio di giorni…
Un rumore secco e ripetuto distolse la sua attenzione.
"Avanti" disse, e la porta si aprì.
Anna indossava un paio di jeans ed una T-shirt nera. I lunghi capelli corvini scendevano lungo le spalle, la sua espressione triste la caratterizzava come la luce di un faro in una notte di tempesta. Arthur si voltò verso di lei e le sorrise. Lei sorrise di rimando ed entrò nella stanza.
"Sto andando via, volevo passare a salutare". La sua voce era molto più tranquilla rispetto la sera prima. Arthur notò con piacere questo dettaglio.
"Mi fa piacere che tu possa uscire da questo mortorio. Ti invidio un po’ per questo", disse ironicamente lui.
Anna sorrise. Non era ancora riuscita a capire che tipo di persona fosse questo Arthur Wils… ma sembrava simpatico.
"Volevo anche ringraziarla per quello che ha fatto". I suoi occhi guardarono rapidamente il corpo acciaccato dell’uomo. "Se sono qui, lo devo solo a lei."
Arthur sorrise ancora una volta. "Un poliziotto ti avrebbe detto qualche baggianata del tipo “è il mio lavoro”… personalmente credo di aver fatto la cosa più giusta. Non importa quanto tempo ci vorrà per guarire. Se tu stai bene". I loro sguardi si incrociarono.
"Sto bene, davvero". Gli sorrise. "Volevo lasciarle questo, prima di andare via". Anna frugò in una delle sue tasche e ne estrasse un foglio di carta stropicciato su cui qualcuno aveva scritto con un pennarello sbiadito. Anna pose il foglio ad Arthur e si avviò verso la porta. "Grazie ancora di tutto, signor Wils…"
"Puoi chiamarmi Arthur, se vuoi"
Anna si voltò ancora verso di lui sorridendo, poi uscì rapidamente.
Arthur osservò più attentamente quel pezzo di carta che aveva tra le mani. “Anna Cooper. E questo è un numero di telefono.”. Rifletté per qualche istante, poi ripose il foglio stropicciato in una piccola agendina nera. “Meglio non pensarci ora. Almeno finché non sarò uscito da…”. Non riuscì a formulare il suo pensiero, poiché l’ennesimo infermiere irruppe molto confusamente nella stanza, borbottando qualcosa su farmaci dai nomi sconosciuti. “Meglio rimandare questi pensieri a momenti meno… occupati”, pensò.
La Creatura maledisse se stessa. Aveva rischiato di far scoprire la sua esistenza a dei volgari esseri umani. Non riusciva a trattenere il proprio potere, era frustrante. Capì come doveva essersi sentito il suo predecessore ed intuì la strada che l’aveva portato alla follia. Non sarebbe caduta nello stesso tranello. Le sue ferite si rigeneravano lentamente. Troppo lentamente. Era ansiosa di portare a termine il proprio compito, ansiosa di abbandonare quel posto. Doveva spostarsi, prima che la Terra la rigurgitasse. Il suo obiettivo diventava sempre più vicino. Poteva sentirne l’odore, poteva percepirne il movimento… ma non poteva raggiungerlo. Non ancora. Si sforzò di volgere altrove il suo pensiero, in modo da non incorrere nella follia. Ripensò al proprio pianeta, alle proprie origini, al proprio addestramento. Ripensò alla sua Signora. La stava osservando, in quel momento. Lo sapeva. Non l’avrebbe delusa. La Terra fremeva nuovamente, la Creatura si spostò ancora una volta. Accadeva con una frequenza sempre maggiore. Probabilmente la sua presenza era stata già rilevata. Maledisse ancora una volta la propria inettitudine e si spostò lentamente verso una roccia isolata sul fondo del mare. Non avrebbe fallito. Non poteva fallire.