lunedì 10 maggio 2010

Cella 211 - Celda 211


Beh, che dire di più?
Ho visto solo la locandina di questo film, non sapendo nemmeno che fosse basato sull'omonimo romanzo di Francisco Pèrez Gandul. Soltanto quell'immagine e già volevo assolutamente vederlo.
Perchè? Non lo so. So solo che anche quella frase, che come quasi tutte le cose che fanno i titolisti italiani si potevano risparmiare ("La sua unica speranza, è essere uno di loro"), non ha smorzato il mio entusiasmo, e meno male.

Spagna, Juan Oliver si presenta con un giorno di anticipo a lavoro come nuovo secondino di un carcere, per farsi un'idea di cosa gli aspetta. Durante la visita, viene colpito alla testa da un pezzo di intonaco che cade dal soffitto e le guardie che sono con lui lo distendono per un attimo nell'unica cella libera del braccio più violento, la 211 appunto. Proprio in quel momento però un detenuto del carcere, il carismatico Malamadre, fa scoppiare una rivolta e il povero Juan, una volta ripresi i sensi, si ritrova a escogitare ogni sorta di espediente per far credere di essere un detenuto.


Il regista Daniel Monzòn (errata corrige) riesce a tenere un ritmo terribilmente serrato per tutta la durata del film; non ci sono attimi di pausa, perfino le scene in cui si racconta della normale vita di Juan, quella con una moglie incinta al sesto mese, la tensione è alta. Tensione che non si assopisce perchè quelle scene non fanno altro che dare uno scopo alla de-evoluzione di una persona "per bene" o "buona", che fa di tutto per riabbracciare i suoi cari e uscire vivo da una situazione infernale.

Le trovate di Juan sono incredibilmente furbe e ciniche, quasi come se svenendo e risvegliandosi nella cella 211 avesse assorbito in un niente tutta la crudeltà di quel luogo, come se fosse diventato senza accorgersene uno dei criminali che aveva accettato di sorvegliare. Evidente quindi, la critica del regista al sistema carcerario Spagnolo (spulciato per bene dall'ONU prima di accettare la Spagna nell'unione), capace di rendere qualsiasi uomo una bestia.


E' nell'ambiente peggiore quindi che si muovono dei personaggi costruiti benissimo, dal primo all'ultimo. Malamadre e Juan, che sono poi i protagonisti principali, hanno uno spessore altissimo e subiscono entrambi un'evoluzione che li incrocerà in un'amicizia quasi surreale per quanto profonda.

Insomma a dirla tutta uno dei più bei film usciti ultimamente, violento, duro, reale e magistralmente diretto e recitato. Una menzione speciale anche ai doppiatori italiani; non amo molto alcuni stravolgimenti del doppiaggio ma il film è perfetto sotto il punto di vista dell'audio.

ps: una menzione speciale anche a quelle bestie sedute qualche fila dietro di me all'Happy Maxicinema di Afragola, veramente di un'intelligenza sovraumana. Spero griderete come avete gridato durante il film anche nel momento della vostra morte.

giovedì 6 maggio 2010

L'Anima della Terra - Parte IV (Le Storie Infinite - Parte VII e VIII)

Anna si sentiva completamente fuori luogo. La camera d’ospedale in cui si trovava adesso era diversa da quella cui era abituata. C’era una macchina da scrivere, fogli e fascicoli sparsi praticamente ovunque. L’uomo che la guardava sbigottito era solo. Non c’erano altri pazienti, la camera era molto più piccola rispetto alla sua. Notò però che dalla finestra si intravedeva il mare, per quanto fosse solo un riflesso distante. Ripensò agli ultimi giorni dell’estate, agli amici e alle nottate trascorse sulla spiaggia. Le tornarono in mente i momenti felici legati alla sua casa, alla sua famiglia e a tutto il suo piccolo, immenso mondo, in cui amava sprofondare nei momenti più tristi della sua vita. Come quello che stava vivendo ora. Soprappensiero, si avvicinò alla finestra e, osservando il sole che moriva in lontananza, ricordò dove aveva visto quell’uomo, che i medici le avevano indicato essere un investigatore. Si voltò di scatto ed i suoi occhi incrociarono quelli di Arthur. La sua espressione non era cambiata, un misto tra felicità e stupore. Anna non seppe come interpretare quello sguardo. Le parve di guardare negli occhi suo padre, nei suoi rari momenti di felicità. Fu scossa da un brivido, ma lo nascose attentamente all’uomo. Non voleva mostrarsi debole nei suoi confronti. Si schiarì la voce e prese la parola.

"I medici mi hanno detto che volevate parlarmi…", disse, con un tono di voce volutamente basso.
"E’ così infatti.", ribatté Arthur, mantenendo a sua volta un tono di voce calmo e deciso.
"Dunque, eccomi qui!", sorrise lei. Era ancora scossa dall’incontro con suo padre la notte precedente, ma aveva paura di essere giudicata pazza da quell’uomo. E la cosa la turbava.
Arthur sorrise a sua volta e riprese a parlare:
"Probabilmente avrai pensato che volessero farti delle domande su quanto accaduto quando ci siamo incontrati…". Fece una breve pausa, cercando di carpire le sensazioni della ragazza. Lei annuì quasi inconsciamente. "Non è così". Arthur spostò lo sguardo dai profondi occhi castani della ragazza per guardare il tramonto dalla finestra. "Ti sembrerà strano, ma volevo solo sapere come stai". La sua voce assunse un tono più malinconico.

Anna rimase sorpresa, pensò in un primo momento che quella fosse solo una normale procedura di routine per spezzare la tensione che poteva esserci tra loro. Dovette però ammettere di trovarsi già perfettamente a proprio agio, e l’espressione dell’uomo le trasmise la stessa certezza. Voleva davvero sapere solo questo. Anna arrossì lievemente, si sentiva colpevole di quello che aveva pensato. Rispose frettolosamente, sperando che lui non notasse il suo imbarazzo.

"Sto bene. I medici dicono che sarò libera di tornare a casa domani". “Ma tu non hai più una casa, Anna”, pensò lei. Si sentì stupida per quello che aveva appena detto.
"Bene, ne sono lieto". Arthur si sentì più rilassato, posò i fogli che stava leggendo sul comodino a fianco al letto e riprese a parlare. "Probabilmente nei prossimi giorni molti dei miei colleghi ti riempiranno di domande riguardo quello che è successo. Sono sicuro che tu sia giunta alla mia stessa conclusione, cioè che nessuno crederà mai alla verità". Fece una pausa. "Io stesso ho mentito al capitano, dicendo che la casa sembra essere crollata sulle sue fondamenta… una cosa poco credibile, ma non sono riuscito a trovare niente di meglio… semmai dovessero chiedertelo, conferma questa teoria, eviterai molti problemi in questo modo". Arthur sorrise lievemente. "Per il resto, quando lo vorrai, puoi parlare sempre con me liberamente di quanto è accaduto. No, nessuno dei due è impazzito. Le mie ferite ne sono la prova evidente". Anna guardò per la prima volta le condizioni dell’uomo. Oltre a quelle che lei aveva provveduto a cauterizzare, come le aveva insegnato sua madre, sembrava che l’uomo avesse qualche costola rotta. Anna guardò istintivamente il suo corpo. Completamente intatto. Solo un paio di graffi ed un cerotto. Si sentì in colpa, ma non ebbe modo di soffermarsi su questo poiché l’uomo stava parlando nuovamente.

"Ho saputo che hai incontrato tuo padre. Sono felice di sapere che hai qualcuno in questo momento". Sorrise. I loro sguardi si incrociarono nuovamente. Anna avrebbe voluto ribattere, facendogli notare come suo padre non avesse alcuna intenzione di aiutarla, come l’unica sua preoccupazione era di mandare sua figlia all’estero in modo da togliersela dalle scatole. Ma sentiva che tali affermazioni avrebbero causato ulteriore tristezza nell’uomo che aveva di fronte.
"Certo, è una grande fortuna", disse lei. Arthur colse un sottile velo di ironia in quella frase, ma lasciò correre. Prese uno dei fogli di carta bianchi che aveva sulla scrivania, impugnò la penna e scrisse qualcosa. Strappò il foglio e lo porse alla ragazza.
"Nel caso tu abbia bisogno anche solo di parlare un po’…". Anna era confusa, prese il pezzo di carta e lesse: “Arthur Wils. Allora è questo il suo nome”. Guardò di nuovo l’uomo e sorrise. "E’ bello sapere di non essere completamente impazzita… non ancora, almeno. Ho molte cose da chiedere riguardo l’altra notte… ma non me la sento di farlo ora… mi dispiace".
Arthur sorrise a sua volta. "Non preoccuparti di quanto è successo… scoprirò cosa è accaduto realmente, non permetterò che accada nuovamente qualcosa di simile…". Il suo sguardo si spostò verso la pistola, chiusa accuratamente nel suo fodero. Anna lo seguì con lo sguardo e trasalì, ripensando al tocco freddo dell’arma, al dolore che provava, alla follia che premeva contro le fragili mura della sua mente. Si voltò di scatto.
"Adesso sarà meglio che vada", disse frettolosamente. Arthur la guardò, come se cercasse di leggerle nella mente.
"E’ tardi, un po’ di sonno non farà male… ad entrambi". La ragazza intanto era già arrivata alla porta. Quando la aprì fu pervasa da un incessante senso di colpa. Si voltò indietro. Arthur sembrava piccolo e indifeso in quel letto. Ricordava come avesse cercato di proteggerla, mettendo a rischio la propria vita. Lo guardò per qualche secondo.
"Grazie". Sorrise. Non riusciva a dire altro. Lasciò che la porta si chiudesse dietro di lei e si incamminò lentamente verso la sua stanza.

Arthur guardò la porta chiudersi e si domandò cosa avrebbe fatto la ragazza adesso. Probabilmente l’avrebbe rivista solo in seguito a sviluppi nell’indagine che potessero interessarle, ma era rimasto sollevato dal vederla in salute. Il vuoto dei suoi occhi era sparito, ora sostituito da una, seppur flebile, speranza. Era tutto ciò che Arthur avesse mai sperato di trovare in lei in questo incontro. Riprese i suoi fascicoli, tornò ad analizzare i rapporti per trovare qualche punto in comune, qualche indizio per iniziare le proprie ricerche.

Anna rientrò nella propria stanza, facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare gli altri pazienti. Si infilò nel letto e guardò la notte buia sopra di lei. Ripose il pezzo di carta che le aveva dato l’uomo in un cassetto e ripensò, suo malgrado, a quando si era resa conto di aver perso l’unica cosa veramente importante di tutta la sua vita. Pianse. Silenziosamente, consapevole di non poter tornare più indietro. Consapevole di dover accettare quanto accaduto. Consapevole, adesso, di essere completamente sola al mondo.

Nessuno dei due dormì quella notte, entrambi trascinati nel vortice delle rispettive sensazioni. La notte era più calda del solito, il cielo terso faceva presagire un sole caldo anche per il giorno successivo. Anna vide una stella cadente, ma non riuscì a pensare ad un desiderio realizzabile. Aveva in mente solo sua madre. Si rannicchiò su se stessa, come se cercasse di mantenere stretto a sé il suo corpo, come se avesse paura che potesse sfuggirle anche quello. Non vide l’astro, nero come la notte, cadere in mare aperto. Non sentì il rumore emesso dall’impatto, troppo distante.

La creatura aprì gli occhi. Erano neri, come la notte in cui aveva deciso di giungere su quella parte della Terra. Il suo corpo era ferito, bruciato e danneggiato in più punti. Sentiva il mondo pulsare intorno a lei, un’appendice indesiderata. Avrebbe avuto bisogno di qualche giorno per riprendere piena funzionalità. Avrebbe quindi avuto solo poche ore per portare a termine la sua missione. Non poteva fallire. Non era stupida, aveva a disposizione più del tempo necessario a preparare una trappola per catturare la sua preda. Sogghignando, le sue fauci aguzze come coltelli scintillarono nell’oscurità delle profondità marine in cui si trovava. L’eccessiva foga generata dal suo desiderio di portare a termine la propria missione fece sussultare la Terra stessa.

L’alba. La Terra compiva ancora una volta il suo ciclo millenario. Il sole illuminava la stanza in cui si trovava Anna. Non era riuscita a chiudere occhio durante la notte precedente. Poiché si rendeva conto di non riuscire a dormire, aveva deciso di prepararsi per lasciare l’ospedale il giorno stesso. Suo padre le aveva lasciato del denaro, tra i suoi effetti personali. Probabilmente ora si trovava in volo da qualche parte. Ripensando a lui, Anna si pentì di essersi comportata in una maniera così fredda. In fondo, suo padre aveva sempre dimostrato quel modo di reagire di fronte alle avversità. Era sempre stato l’unico della famiglia ad avere i piedi ben piantati a terra, ma questo non significava che non soffriva. Probabilmente nella situazione attuale le sue ferite erano ben più profonde e radicate. Si ripromise di chiamarlo, una volta trovata una sistemazione. Raccattò in fretta la piccola borsa con i vestiti che era riuscita a recuperare ed il resto dei suoi effetti personali. Il cannocchiale in miniatura che le era stato regalato dalla sua migliore amica, il portachiavi cui erano ancora attaccate delle chiavi ormai inutili e… Anna guardò attentamente la pietra nera sul fondo della scatola. L’aveva già vista da qualche parte, ma non riuscì a ricordare dove. Era nera come l’ebano, aveva degli splendidi riflessi violacei lungo la superficie ben levigata. Di sicuro si trattava di una pietra levigata, data la sua forma. Era un decaedro con tutte le estremità molto appuntite. Anna rigirò più volte la pietra tra le sue dita, domandandosi da dove fosse arrivata. Sembrava essere preziosa, ma non ci avrebbe giurato. Non ricordava di averla mai vista prima, ma le sembrava familiare al contempo. Lasciando un sottile strato di nebbia tra i suoi pensieri, Anna infilò rapidamente l’oggetto in una tasca e se ne dimenticò.

Alle 4:05 di oggi 27 Agosto si è verificata una forte scossa di terremoto che ha colpito la zona costiera del Paese. La magnitudo dell’evento è stata stimata pari a 6.5 Richter, un valore che comporta effetti fino all’VIII grado della scala Mercalli. L’epicentro è stato identificato ad una distanza di circa 200 km dal punto più vicino. La scossa è stata seguita da brevi repliche, la più forte delle quali è avvenuta alle 6:21 ed ha avuto magnitudo 3.9.
“Strano non aver sentito nulla qui”, pensò Arthur, spegnendo la radio. Disastri navali, mostri, terremoti… che la fine del mondo fosse vicina? Sembrava non esserci pace in quella piccola città negli ultimi giorni. Chissà a questo punto in che condizioni si trovava New York… o Roma… che le grandi città fossero già ridotte in cenere?
Sforzandosi di sorridere, mise da parte i suoi appunti ed iniziò a massaggiarsi le tempie, cosa che lo aiutava a riflettere. Certo, con un buon sigaro sarebbe stato tutto molto più facile.
Incidente marittimo, avvenuto poco più di una settimana fa. 15 morti, numero imprecisato di feriti. Morti a causa di un arresto cardiaco, successivamente dilaniati, come da artigli. Ritrovati frammenti metallici sui loro corpi, le analisi non avevano ancora dato risultati sulle leghe di cui tale metallo era composto, quindi non si poteva essere certi di cosa fosse realmente. Probabilmente frammenti dello scafo generati dall’esplosione. Esplosione di cui, però, non vi erano tracce evidenti. Sembrava piuttosto che qualcosa fosse entrato in collisione direttamente con la barca, trapassandola da parte a parte. Come se una lancia l’avesse trapassata. “Ma non sono state trovate tracce di lance in fondo al mare, Arthur…”, si disse ironico. I danni dello scafo facevano presupporre che le cause della caduta del ponte e dello scafo fossero coincidenti. Meglio così, un pensiero in meno. Si fermò a riflettere su ciò che aveva.
“Cosa può far morire 15 persone sul colpo, ferirne il doppio, abbattere una nave e non lasciare tracce?”. Istintivamente Arthur ripensò alla Creatura che voleva così ardentemente le sue costole. “Eppure di donne il mondo è pieno…”. Sicuramente c’era un legame tra le due cose, ma gli sfuggiva. Avrebbe compreso se le morti per infarto fossero una o due. Quella Creatura era brutta, d’accordo. Ma non al punto da far morire chiunque la vedesse. Guardò la pila interminabile di documenti piegata minacciosamente su di lui. “Forse è vero che l’inferno è generato dalle nostre più profonde paure… se è così allora sono morto anch’io…”. Almeno in quest’inferno la ragazza era salva. La Creatura sembrava essere interessata proprio a lei. Non le aveva fatto neanche un graffio. Forse il suo scopo era di rapirla, portarla in qualche altro luogo… e poi? Dov’era finita? Cercò di sforzarsi, di ricordare qualche dettaglio in più, ma le sue condizioni nel momento in cui la creatura spariva lo avevano completamente isolato dal mondo. Ricordò solo un fascio di luce, intenso. Nient’altro. Luce bianca, molto forte.
Riprese a sfogliare i fascicoli accumulati tutto intorno a lui. John Cooper. Pilota dell’Aviazione Militare. Interessante. Magari lui avrebbe potuto avere accesso a maggiori dettagli sulla faccenda. Era ora di fare due chiacchiere con il padre di Anna.
Arthur Guardò istintivamente le fasciature su tutto il suo corpo.
Beh, magari tra un paio di giorni…
Un rumore secco e ripetuto distolse la sua attenzione.

"Avanti" disse, e la porta si aprì.
Anna indossava un paio di jeans ed una T-shirt nera. I lunghi capelli corvini scendevano lungo le spalle, la sua espressione triste la caratterizzava come la luce di un faro in una notte di tempesta. Arthur si voltò verso di lei e le sorrise. Lei sorrise di rimando ed entrò nella stanza.
"Sto andando via, volevo passare a salutare". La sua voce era molto più tranquilla rispetto la sera prima. Arthur notò con piacere questo dettaglio.
"Mi fa piacere che tu possa uscire da questo mortorio. Ti invidio un po’ per questo", disse ironicamente lui.
Anna sorrise. Non era ancora riuscita a capire che tipo di persona fosse questo Arthur Wils… ma sembrava simpatico.
"Volevo anche ringraziarla per quello che ha fatto". I suoi occhi guardarono rapidamente il corpo acciaccato dell’uomo. "Se sono qui, lo devo solo a lei."
Arthur sorrise ancora una volta. "Un poliziotto ti avrebbe detto qualche baggianata del tipo “è il mio lavoro”… personalmente credo di aver fatto la cosa più giusta. Non importa quanto tempo ci vorrà per guarire. Se tu stai bene". I loro sguardi si incrociarono.
"Sto bene, davvero". Gli sorrise. "Volevo lasciarle questo, prima di andare via". Anna frugò in una delle sue tasche e ne estrasse un foglio di carta stropicciato su cui qualcuno aveva scritto con un pennarello sbiadito. Anna pose il foglio ad Arthur e si avviò verso la porta. "Grazie ancora di tutto, signor Wils…"
"Puoi chiamarmi Arthur, se vuoi"
Anna si voltò ancora verso di lui sorridendo, poi uscì rapidamente.

Arthur osservò più attentamente quel pezzo di carta che aveva tra le mani. “Anna Cooper. E questo è un numero di telefono.”. Rifletté per qualche istante, poi ripose il foglio stropicciato in una piccola agendina nera. “Meglio non pensarci ora. Almeno finché non sarò uscito da…”. Non riuscì a formulare il suo pensiero, poiché l’ennesimo infermiere irruppe molto confusamente nella stanza, borbottando qualcosa su farmaci dai nomi sconosciuti. “Meglio rimandare questi pensieri a momenti meno… occupati”, pensò.

La Creatura maledisse se stessa. Aveva rischiato di far scoprire la sua esistenza a dei volgari esseri umani. Non riusciva a trattenere il proprio potere, era frustrante. Capì come doveva essersi sentito il suo predecessore ed intuì la strada che l’aveva portato alla follia. Non sarebbe caduta nello stesso tranello. Le sue ferite si rigeneravano lentamente. Troppo lentamente. Era ansiosa di portare a termine il proprio compito, ansiosa di abbandonare quel posto. Doveva spostarsi, prima che la Terra la rigurgitasse. Il suo obiettivo diventava sempre più vicino. Poteva sentirne l’odore, poteva percepirne il movimento… ma non poteva raggiungerlo. Non ancora. Si sforzò di volgere altrove il suo pensiero, in modo da non incorrere nella follia. Ripensò al proprio pianeta, alle proprie origini, al proprio addestramento. Ripensò alla sua Signora. La stava osservando, in quel momento. Lo sapeva. Non l’avrebbe delusa. La Terra fremeva nuovamente, la Creatura si spostò ancora una volta. Accadeva con una frequenza sempre maggiore. Probabilmente la sua presenza era stata già rilevata. Maledisse ancora una volta la propria inettitudine e si spostò lentamente verso una roccia isolata sul fondo del mare. Non avrebbe fallito. Non poteva fallire.

martedì 4 maggio 2010

Capitan America News and Cap Cameo in The Incredible Hulk

Okay, altro aggiornamento nerd della giornata e poi basta.
A quanto pare si è deciso il megacattivone di "The First Avenger: Capitan America"







che non poteva essere altrimenti che "The Red Skull" o Teschio Rosso pe' noiartri: ufficiale nazista della seconda guerra mondiale, sfigurato da Teschio Rosso o con una maschera da tale è sempre lui, interpretato da?

"Benvenuto a Gran Burrone Signor Anderson, può chiamarmi V, ora ci voglio pallottole d'argento. Heil Hitler!"

Esatto, Hugo Weaving.

Beh, al prossimo aggiornamento Nerd.
Ah, qui sotto vi posto un video da cecati (dai contenuti speciali del blu ray di Hulk) che qualcuno si è messo in testa di caricare su you tube, e vista che siamo in vena di easter eggs...:




Questo video invece è quello di sopra ma completo, e cioè l'inizio alternativo de L'Incredibile Hulk

Iron man 2 & Thor First Picture


Maledetti virus persiani.

Me l’hanno fatta anche stavolta sapete? I miei Spartani anticorpi si sono distratti un secondo a guardare il mio nuovo god of war III e vedi cosa succede…



Ad ogni modo forse avrete visto tutti che ultimamente nelle sale è uscito Iron Man 2.

La sera del mio nobile compleanno lo siamo andati a vedere in massa e devo dire che non ha deluso completamente le mie aspettative. Il primo capitolo, targato 2007, mi aveva entusiasmato, secondo me resta tutt’ora il miglior Marvel Movie mai prodotto: bella regia, effetti speciali esaltanti, ottima storia, ottimo cast; insomma, ottimo film.

Oltre al ben noto Tony Stark/Iron Man (Robert Downey Jr.) ritroviamo Virginia “Pepper” Potts (Gwyneth Paltrow) e il colonnello Jim Rhoodes/Per l’occasione anche War Machine (Don Cheadle, subentrato a Terrence Howard per motivi poco chiari a mio avviso). La storia si dipana qualche anno dopo la rivelazione del signor Stark di essere Iron Man e dei problemi che ovviamente ne seguono, nel presentare al mondo un’arma così potente, controllata da un solo uomo. Gli Stati Uniti ne rivendicano la proprietà e sotto il costante rifiuto di Tony, cercano di riprodurre la stessa tecnologia con il noto fabbricante di armi Justin Hammer (Sam Rockwell) ma, ovviamente, senza il minimo successo.

Si infila in questo bel girotondo anche il signor Ivan Vanko (Mickey Rourke), figlio di tale Anton Vanko, uno scienziato russo (ma no?) che aveva collaborato con il padre di Tony alla creazione del reattore ad arco (quello miniaturizzato è la cosa luminosa che Stark ha nel petto e lo tiene in vita, presente?) e che, tanto per cambiare, lo vuole fare fuori perché Howard Stark si è preso tutto il merito snobbando il caro vecchio paparino Vanko.




Come ciliegina sulla torta, il nucleo che Tony ha nel petto lo sta uccidendo. Tutto chiaro?

Come aggiunte al cast principale troviamo una Scarlet Joahnsson più in forma che mai per

entrare nel vestitino di Vedova Nera e un ormai integrante Samuel L. Jackson che interpreta Nick Fury, il direttore dello SHIELD; Fury e lo SHIELD hanno una parte abbastanza importante nell’intero film anche se sono in maniera evidente un trampolino di lancio per il futuro film dei Vendicatori.

Menzione anche per il colonnello Rhoodes che trasforma una delle armature di Stark in una vera e propria macchina da guerra, appunto il personaggio classico War Machine.

Tiriamo le somme? Sicuramente più sottotono del primo, un po’ più dispersivo ma è anche per la grande quantità di personaggi e di situazioni che si è deciso di affrontare. Alcune scene le avrei semplicemente ridotte a mio avviso ma se consideriamo il cast (Jackson, la Joahnsson, Paltrow, Downey Junior, Rourke, Rockwell) e i personaggi (Nick Fury, Iron Man, War Machine, Vedova Nera, Justin Hammer, Whiplash, I Vendicatori) direi che il nostro Fraveau se l’è cavata niente male, riuscendo a coordinare tutti per una storia che regge, trattandosi comunque di un SuperHero Movie, e con un peso sulle spalle come il progetto Vendicatori da non sottovalutare.

Qualche lato negativo? Beh a un certo punto ho visto veramente troppe armature.



Curiosità: la voce di Jarvis è di Paul Bettany



Qui sotto per i più affezionati e i più distratti vi posto i video delle scene post titoli di coda sia del primo:






Che del secondo:






E in anteprima il vostro Jerch vi dona anche la prima immagine del prossimo Marvel Movie Thor





Marvel Comics2Films news: Prima immagine di Thor - Thor First Snapshot


Questo è un Teaser di post, ci vediamo fra breve...

lunedì 3 maggio 2010

L'Anima della Terra - Parte III (Le Storie Infinite - Parte V e VI)

Disastro Sulla Costa. Il giornale non dava mai buone notizie. Durante la notte una nave da crociera ha subito un’anomalia ai motori. 12 morti, 75 feriti. “Che bel modo per iniziare la giornata”, pensò Arthur. La notte precedente era stato assalito da incubi misti a ricordi. Creature come quella in cui si era imbattuto la notte precedente, lo minacciavano ed uccidevano tutte le persone a lui care. “Peccato che in realtà siano già tutte morte”. Posò il giornale sul comodino a fianco al suo letto. Non era in grado di alzarsi. Guardò fuori. Era una bella giornata. Il sole era caldo ed il vento mite. L’autunno sembrava ancora lontano. Ripensò alla ragazza. Dove si trovava in questo momento? Avrebbe voluto alzarsi ed andare a cercarla, ma sapeva di non poter mettere ulteriormente sotto sforzo il proprio corpo. “Stai invecchiando!”. Si sforzò di sorridere. Tornò a guardare dalla finestra, ripensando al rapido susseguirsi degli eventi. Avrebbe scoperto cosa stava accadendo. Non aveva molto tempo. Avrebbe fatto il possibile nella sua condizione. Chiamò un infermiere e si fece portare una serie di fascicoli dalla centrale. Sapeva che William non avrebbe creato problemi. Finché non ne avesse creato uno lui. Decise di partire da dove aveva interrotto le sue ricerche. I disastri navali sembravano un buon punto da cui iniziare. In fondo i suoi problemi in questa faccenda erano iniziati proprio con il primo di questi disastri. Non era ancora venuto a capo delle autopsie. Pensò alla creatura e si domandò se potesse essere coinvolta. Indubbiamente sarebbe stata capace di creare quel genere di danno. Rimaneva da capirne il motivo. Da dove veniva un mostro simile? Perché aveva attaccato un peschereccio, ammesso che fosse stata opera sua? Che legame aveva con quella ragazza e la sua famiglia? Queste e molte altre domande urlavano nella sua testa in cerca di una risposta. Le ferite gli causavano brevi ma intense fitte di dolore che contribuivano a calare il suo livello di concentrazione. L’unica consolazione di quella giornata sembrava essere proprio quel sole caldo.

Anna riaprì gli occhi. Non sapeva da quanto tempo si era addormentata. Aveva perso ogni cognizione di tempo. Il sole era alto e caldo. Guardò i propri abiti laceri. Aveva bisogno di cambiarsi. Le ritornò in mente l’accaduto della notte precedente e scoppiò in lacrime. Notò solo allora l’uomo che si trovava al suo fianco. Era una persona malandata, un barbone probabilmente. Aveva una ciotola ai suoi piedi con alcune monete. Sembrava molto triste. I suoi occhi erano di un azzurro molto intenso. Anna si ritrovò a fissare il suo sguardo per un tempo che le parve interminabile. Quando si rese conto di quello che stava facendo, imbarazzata, tirò fuori di una tasca una moneta e la aggiunse al mucchietto. Si asciugò le lacrime ed iniziò a camminare, senza una meta precisa. Dov’era suo padre? Barcollò e sentì il proprio corpo indebolito. Doveva mangiare qualcosa, nonostante la sua mente avesse problemi più grandi da affrontare. Non ricordava esattamente cosa era successo la notte prima. Cercò di rimettere insieme i frammenti della sua memoria ma non vi riuscì. Era tutto ancora troppo confuso. Ricordava solo la casa distrutta, poi sua madre…
Il ricordo le portò nuove lacrime. Non riusciva a credere di aver visto il corpo di sua madre sotto le macerie. Voleva convincersi che fosse soltanto svenuta. Se così era, probabilmente era ancora in vita…
Anna sobbalzò ed iniziò a correre. Doveva tornare a casa. Sua madre poteva aver bisogno di lei.
Corse a perdifiato, più volte fu sul punto di perdere i sensi. Il sole era alto e sempre più caldo. Anna tentò di ignorare la fatica ma, suo malgrado, dovette fermarsi più volte per riprendere fiato. Quando arrivò sulla strada che l’avrebbe condotta a casa, poco fuori città, il suo corpo era distrutto dalla fatica. Inciampò e cadde più volte lungo la strada. Si ferì al braccio ed alla testa ma si impose di continuare a camminare. Era arrivata ormai. Presto avrebbe aiutato sua madre ad uscire dalle macerie e se ne sarebbero andate, insieme. Cadde ancora una volta. Non riuscì più a rialzarsi. Continuò strisciando verso quello che rimaneva della sua casa. C’erano delle persone lì intorno. Non riusciva a distinguerle. Le parve di intravedere suo padre tra loro. L’avevano notata. Ben presto furono su di lei, parlavano tutti velocemente e lei non riuscì a capire cosa dicevano. Voleva vedere solo sua madre. C’era anche lei tra quelle persone? Chiuse gli occhi prima di avere una risposta.

"Signor Wils, c’è una visita per lei". L’infermiera di turno aprì la porta della sua stanza e lasciò entrare un uomo tozzo in preda alla calvizie.
"Benvenuto, William"
"Arthur…", William Grey lo salutò con un cenno del capo ed iniziò a torturare un sigaro.
"Qualcosa non va, William?". Arthur non poté fare a meno di notare la sua irrequietezza.
"Beh… oh al diavolo! Sono venuto a dirti che abbiamo trovato la ragazza che stavi cercando", disse in fretta.
Arthur sentì un tuffo al cuore.
"Come sta? Dov’è adesso?". La sua voce tradì la sua apparente calma.
"Proprio qui. In questo ospedale. L’abbiamo trovata questa mattina nei pressi della sua abitazione. Era sconvolta e ferita.".
Arthur scrutò il capitano molto attentamente, aspettando una reazione.
"Arthur… so che non vuoi parlarne… ma la faccenda si sta complicando. Cos’è successo in quella casa, ieri notte?". Il capitano evitò lo sguardo del suo subordinato, mostrando la sua mancanza di coraggio.
"Te l’ho già detto cosa è successo, William". Arthur non era disposto a cedere.
"Oh andiamo, Arthur!". Il capitano si voltò verso di lui. "Sappiamo entrambi che le fondamenta di quella casa erano stabili quanto la terra stessa! Cos’è successo realmente?"
Arthur inspirò profondamente. Sapeva che sarebbe accaduto. Ora doveva solo cercare le parole più adatte.
Attribuì la distruzione della casa ad una bomba. Cercò di far passare l’accaduto per un attacco terroristico o mafioso. Non aveva intenzione di cedere fino in fondo. Sapeva che se avesse parlato della creatura al capitano sarebbe finito in un manicomio.
"Probabilmente proprio chi ha causato questo" ed indicò il fascicolo che stava leggendo "ha voluto farmi capire che c’è qualcosa di grosso e che farei meglio a starne alla larga". Arthur finse un sorriso. Il peggiore della sua vita, probabilmente.
L’espressione del capitano Grey divenne cupa ed enigmatica. Arthur non era sicuro di essere riuscito a convincerlo, ma non poteva fare di più.
Il capitano ruppe il silenzio per primo.
"Cosa hai intenzione di fare adesso?"
"Continuerò le indagini, mi sembra ovvio…"
"Capisco… c’è altro che ti serve?". L’espressione del capitano era cambiata. Sembrava seccato dall’atteggiamento del suo subordinato.
"Solo una cosa… quando sarà possibile, vorrei interrogare la ragazza riguardo gli avvenimenti della notte scorsa".
Il capitano annuì. "Nient’altro?"
"Per ora no… ho tutto quello che mi serve". Arthur si pentì quasi subito di tale freddezza. "Grazie", aggiunse.
William si sforzò di sorridere, senza tentare in alcun modo di nascondere il proprio dissenso. Arthur era consapevole di stare navigando in acque alquanto agitate e non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto continuare con queste menzogne.
Il capitano annuì e si diresse verso la porta.
"Cerca di rimetterti in fretta, Arthur".
"So bene che senza di me la baracca non va avanti, William".
Il capitano sorrise. "Tienimi informato se scopri qualcosa. Stando a quanto dicono i medici, la ragazza dovrebbe rimettersi in un paio di giorni al massimo".
"Grazie ancora, William… sul serio".
Il capitano uscì dalla stanza senza dire altro.
Arthur lo seguì con lo sguardo. Quando fu di nuovo solo nella stanza, riprese il fascicolo e tornò ad analizzare gli eventi. Si sentì molto sollevato nel sapere che la ragazza si trovava al sicuro in ospedale. Solo per un attimo lo sfiorò il pensiero che quella creatura poteva essere ancora in circolazione. Se avesse voluto attaccare, però, lo avrebbe già fatto. Il pensiero però non lo faceva rimanere tranquillo. Restò sveglio fino a notte fonda. Non riuscì a venire a capo di nulla. Mancava ancora un nesso tra la creatura e la famiglia Cooper. Dalle autopsie e dai rapporti della scientifica, inoltre, non risultava alcun segno di quella creatura. Non aveva fatto progressi per tutto il giorno. Le ferite ed il mal di testa gli consigliarono di prendersi una pausa. “Solo qualche minuto”, si disse. Chiuse gli occhi e sprofondò in un sonno senza sogni.

Il sole era solo una pallida sfera alta nel cielo. Non sembrava emanare calore. Anna guardò il cielo terso per qualche istante. Inspirò profondamente e tornò a guardare di fronte a sé. Il profumo dell’erba umida e lo scrosciare dell’acqua nel ruscello alle sue spalle la inondarono di una gioia forte ed innocente. I suoi genitori la stavano chiamando. Corse rapidamente verso di loro, sorridendo come non ricordava di aver fatto prima d’ora. La loro presenza la rendeva felice. Non credeva che sarebbe potuto tornare quel momento. Senza rendersene conto, la notte era calata su di loro. Si trovavano nella loro casa sul mare. Il tempo era mite, gli animali notturni intonavano una morbida melodia. Il suo viaggio sembrava lontano, forse non sarebbe mai partita. Sarebbe voluta rimanere in quell’ambiente ovattato per l’eternità. Qualcosa non andava. Era tutto troppo perfetto. Improvvisamente, un rombo proveniente dall’esterno. Un lampo, poi il buio. Due occhi iniettati di sangue la scrutavano nell’oscurità. Anna riaprì gli occhi, madida di sudore. Dov’era?
Riconobbe le pareti grigie ed il letto rialzato. Capì di non trovarsi in casa. Si guardò intorno e vide altri letti come il suo, non era sola in quella stanza. Cercò di focalizzare la propria attenzione sugli ultimi momenti di lucidità. Ricordò gli occhi azzurri ed il colore scuro della pelle dell’uomo che si trovava al suo fianco l’ultima volta che aveva perso conoscenza. Ricordò poi la corsa verso casa, le persone lì fuori…
Nient’altro.
Fece mente locale e realizzò di trovarsi in una stanza d’ospedale. Probabilmente era svenuta. Osservò le ferite che le erano state medicate con cura e la vestaglia bianca che indossava. Non sentiva più quel senso di sporcizia che l’aveva accompagnata la notte precedente. Si sentiva molto debole, scoprì di non riuscire a muoversi liberamente e si costrinse a rimanere a letto. Spostò la testa di lato e guardò fuori della finestra. Era notte, la luna era l’unica cosa visibile dalla città. Le mancavano le sue stelle, le notti passate ad osservare gli astri, i sogni. Si costrinse a non piangere ripensando a quello che era accaduto. Costrinse il proprio corpo a rilassarsi, non avrebbe comunque potuto far nulla in quel momento. La stanchezza e la spossatezza erano tali da esaudire il suo volere. Si sentì chiamare da una voce familiare e riaprì immediatamente gli occhi. Un uomo di mezza età, in uniforme, capelli brizzolati, corti, berretto ed una postura che avrebbe fatto invidia ad una colonna. Anna riconobbe immediatamente suo padre. La sua espressione era sempre la stessa, immutata. La cosa l’aveva sempre resa isterica. Aveva l’impressione che il mondo sarebbe potuto crollare, ma suo padre sarebbe rimasto in piedi. Lo guardò a lungo ed aspettò che fosse lui ad iniziare la conversazione.
"Come stai, bambina mia?", abbozzò un sorriso.
"Ora sto meglio…". Attese alcuni secondi prima di continuare. Non era sicura di voler conoscere la risposta alla sua domanda. Ma si rese ben presto conto di non poter fare altrimenti. "Dov’è la mamma?". La sua voce tradì la propria angoscia.
John Cooper non aveva mai versato una lacrima. E non era questo il momento per farlo. Anna avrebbe voluto picchiarlo, se solo ne avesse avuto la forza.
"La mamma è morta, Anna". La sua voce era sempre fredda e distaccata. Anna pensò per un istante che suo padre fosse fatto di ferro.
"Sia i medici che la polizia non sanno quale sia stata la causa effettiva della sua morte. Io stesso speravo che tu potessi dirmi qualcosa in più di quella notte…". Fece una breve pausa.
"So come ti senti, Anna. So quanto Catherina ti fosse vicina e quanto tu ci tenessi a lei. Mi rendo conto di non essere stato un buon padre, soprattutto a causa del mio lavoro. So che mi odierai per la mia assenza negli ultimi anni. Ma ora dobbiamo pensare a te, al tuo futuro. Guardami, Anna, e non piangere", disse asciugandole le lacrime dal volto.
"Devi essere forte. Devi riuscire a superare questo momento. Io ti darò tutto l’aiuto di cui avrai bisogno. Ti starò vicino. Avrai tutto ciò che reputi opportuno. Ma non perdere mai di vista i tuoi ideali… devi diventare ancora più forte… devi riuscire a portare a termine quello che avevi cominciato. So che vorresti evitarlo, ma ti consiglio di prendere seriamente l’idea di partire e continuare gli studi all’estero. Prendi tutto il tempo di cui hai bisogno. Quando ti sentirai pronta, però, ricordati chi sei, sii orgogliosa di te stessa, sempre a testa alta". Concluso il suo discorso, la abbracciò goffamente per poi alzarsi in piedi. Anna lo guardò come si guarda una marionetta durante una rappresentazione. Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Smise di piangere, notando il senso di compiacimento nello sguardo del padre. Non gli avrebbe mai più dato la soddisfazione di osservarla in un momento difficile della propria vita. Lui vedeva solo quello che voleva, per lui tutto andava bene…
"Possibile che non te ne freghi proprio niente che la mamma sia morta?!" urlò all’improvviso. Non riuscì a controllarsi ulteriormente. Notò l’imbarazzo del padre nei confronti dei presenti, provando una sorta di macabro piacere nel veder crollare la maschera di ferro che lo avvinghiava.
"L’unica cosa che riesci a dirmi è di essere forte, tanto ormai lei è morta e non possiamo farci niente?" la sua voce tremava e permeava tutta la stanza. Nessuno dei presenti proferì una parola nei minuti successivi.
"Anna… non è il caso di…"
"Vattene via! Non voglio più vederti!" Anna osservò lo sguardo sbigottito del padre.
"FUORI!"
Non se lo fece ripetere. Se l’aspettava. Suo padre odiava queste manifestazioni troppo violente nei suoi confronti. Uscì rapidamente dalla stanza, senza voltarsi indietro nemmeno una volta.
Anna si asciugò le lacrime e guardò i presenti. Facce compassionevoli, sguardi tristi e malinconici che volevano consolarla in qualche modo, senza sapere come…
"Cosa avete da guardare?" sbottò lei alla vista di quella scena patetica.
Tutti si voltarono e tornarono immediatamente alle loro faccende personali. Anna li guardò uno ad uno. Non sapevano nulla di lei…
Si voltò di nuovo verso la finestra, stavolta guardando il sole che illuminava la grigia città. Affogando nel suo guanciale, pianse per un tempo che le parve infinito.

Arthur Wils mangiò a malincuore il cibo della mensa ospedaliera. Gli mancavano gli hot dog stracolmi di salse di tutti i tipi a cui era ormai abituato. Ne avrebbe pagato uno a peso d’oro pur di sostituirlo con quella schifezza. Quella notte non era riuscito a chiudere occhio. Aveva ancora in mente l’immagine della ragazza, Anna Cooper, pochi istanti dopo la tragedia. Il suo sonno era stato tormentato e vuoto. La testa gli doleva ed aveva fitte di dolore dovute alle ferite. Era venuto a conoscenza di tutti gli eventi da quella notte in poi, dalla morte di Catherina Cooper fino al ritrovamento della ragazza in stato confusionale. I medici gli avevano riferito che ora la ragazza stava bene ed era in compagnia del padre. Una notizia che gli portò un lieve senso di sollievo. Almeno non era sola in questo momento. I medici erano propensi a concedere un incontro, date le condizioni stabili di entrambi. Arthur, notevolmente tranquillizzato dalla situazione, riprese ad analizzare i rapporti dell’incidente marittimo da cui era partita la sua indagine. Era sicuro che fosse in qualche modo legato alla vicenda ai confini della realtà che aveva vissuto. Non si rese conto dello scorrere del tempo. Il sole era quasi tramontato quando il medico bussò alla porta della sua stanza.
"Avanti" esordì Arthur, pensando a quale medicinale gli volessero rifilare questa volta.
Un infermiere dall’apparenza molto giovane aprì la porta. Dietro di lui si faceva lentamente strada una giovane ragazza. Indossava un camice bianco e delle scarpe dello stesso colore. Arthur trasalì riconoscendo la sua espressione colma di tristezza.